Il ministro degli Esteri si schiera contro l'imboscata ferragostana su Rousseau, e vede rischi di tenuta del governo: "Finiremo col regalare cinque capoluoghi alla destra senza provare a fare nulla col Pd"
Roma. L’ultima volta aveva mantenuto un riserbo perfino patetico: “Ho votato ma non vi dico come, perché il voto è segreto”. C’era da fare il governo col Pd, che a Luigi Di Maio non è che piacesse granché. E invece stavolta, per dire di come cambiano in fretta le cose sotto il cielo delle cinque stelle, è lui che s’intesta la linea che porta all’intesa strutturale coi dem. Sempre, ovviamente, per interposto Rousseau. E allora Di Maio, che s’era tolto la cravatta lasciando a Vito Crimi la rogna di gestire un Movimento semplicemente ingestibile (ultima novità: il furbetto del bonus sarebbe Marco Rizzone, deputato ligure), e poi s’era chiuso alla Farnesina a giocare al ministro degli Esteri, decide che è il momento di mettere da parte i pop-corn. E a votazione aperta (si va avanti fino a domani alle 12), interviene con un post perentorio: una presa di posizione netta a favore del superamento del vincolo dei due mandati (per i consiglieri comunali e dunque per Virginia Raggi, per ora, ma col chiaro intento di divellere quello sciocco paletto per tutti, in tempi rapidi) e a favore dell’accordo sui territori col Pd.
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