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La ricostruzione di Roma passa per il recupero dell'orgoglio e della partecipazione dei cittadini

Tobia Zevi

Tre assi per ripartire. Rilancio dell’economia e riduzione delle disuguaglianze, riqualificazione dello spazio pubblico e pulizia della città, efficienza della macchina amministrativa

Fa bene il Foglio a rilanciare il dibattito sulla “questione romana”. Non tanto per noi cittadini dell’Urbe: il rilancio di Roma è esigenza e sfida per tutti gli italiani. A 150 anni dall’istituzione della Capitale, una Roma è morta e a noi tocca costruirne un’altra. Con idee nuove, certo, ma anche con l’amore dei romani e degli appassionati in ogni parte del mondo.

   

Per cominciare, è utile sottolineare come l’economia della Capitale si sia basata nel Dopoguerra su tre pilastri fondamentali: edilizia, pubblico impiego, grandi aziende pubbliche e private. Un osservatore attento come Walter Tocci ci ha spiegato che tali settori sono in contrazione da almeno due decenni. Ciò ha prodotto una serie di dati impressionanti: crescita del numero dei turisti (più 50 per cento in 10 anni); nascite di nuove aziende (più 11,7 per cento solo nel 2017); aumento dei ristoranti, take-away e minimarket (più 20 per cento in sei anni), per non parlare della quantità esorbitante di case-vacanze e B&B (ne ha molto parlato Giuseppe De Rita). I romani, insieme agli immigrati, si sono cioè “arrangiati”: si perde il posto di lavoro e lo si reinventa, oppure si continua guadagnando di meno. Grafici, esperti di software, centri estetici, impiegati della logistica, autisti, giovani professionisti. E tanta “economia dei piani terra” (pizze al taglio, gelaterie). La conseguenza è un crollo del pil romano – tradizionalmente anticiclico – a partire dalla crisi del 2008 fino al coronavirus, col risultato che l’area metropolitana pesa per il 9 per cento della ricchezza nazionale, contro i tassi di Parigi (30 per cento), Vienna (26 per cento), Lisbona (37 per cento), Londra (22 per cento).

   

Dagli studi che abbiamo condotto negli ultimi anni con gli esperti dell’Osservatorio “Roma! Puoi dirlo forte” emergono tre assi fondamentali per ripartire:

1) Rilancio dell’economia e riduzione delle disuguaglianze;

2) riqualificazione dello spazio pubblico e pulizia della città;

3) efficienza della macchina amministrativa e partecipazione dei cittadini.

     

Prima del lockdown, Roma contava circa 300.000 tra inoccupati e disoccupati. Questo numero di per sé spaventoso è destinato ad aggravarsi quando finiranno cassa integrazione e blocco dei licenziamenti. Per impedire che l’ingiustizia sociale si faccia sempre più marcata – l’aspettativa di vita varia significativamente a Roma tra municipio e municipio – la lotta alla povertà va intrecciata con il rilancio economico. Bisogna sostenere le vocazioni produttive già presenti in città anche grazie ai fondi del Recovery fund. Puntiamo dunque su rigenerazione urbana ed edilizia green, turismo di qualità, industria farmaceutica e aerospaziale, audiovisivo. A tutto ciò va aggiunto il cruciale investimento sulla conoscenza: siamo pieni di grandi università e Roma è l’unica città al mondo con tre circuiti diplomatico-consolari. Perché non proviamo ad attrarre giovani talentuosi da ogni parte del globo? E poi: scuola, scuola, scuola.

 

Passando al secondo pilastro, bisogna avere il coraggio di trasformare le piaghe di Roma in altrettante risorse. Come ci ha ricordato il direttore Claudio Cerasa, mobilità e sporcizia sono i principali problemi di noi romani. I due grandi malati di Roma, Atac e Ama, vanno trasformati radicalmente, rendendoli efficienti e produttivi. Occorre separare indirizzo e processo industriale dalla gestione del servizio. La prima parte va drasticamente migliorata, anche in sinergia con aziende quali Acea, mentre la seconda va messa a gara tra soggetti pubblici e privati. Inoltre, va recuperato l’orgoglio della città con un grande piano di riqualificazione e innovazione dello spazio pubblico. I privati vanno coinvolti nella gestione, e ognuno di noi deve sentirsi responsabile del decoro urbano. Roma, la città del Foro, e metropoli più verde d’Europa, deve valorizzare nuovamente le sue piazze e i suoi parchi, oggi colpevolmente abbandonati.

  

Infine va rivoluzionata la macchina comunale. La vita delle persone, siano privati cittadini o imprenditori, deve diventare più facile. Per questo occorre ringiovanire l’organico della pubblica amministrazione e formarlo alla luce delle sfide poste dalla digitalizzazione. Il famoso decentramento a beneficio dei municipi va attuato al più presto – nonostante le incrostazioni normative degli ultimi anni – e occorre attivare meccanismi di partecipazione dal basso che premino l’attivismo straordinario dei cittadini e delle organizzazioni che in questi anni hanno continuato a fare bene nonostante la sordità delle istituzioni. Roma non si salva senza recuperare l’orgoglio e la partecipazione dei cittadini a un grande progetto di futuro.

  

Tobia Zevi, Osservatorio “Roma! Puoi dirlo forte”

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