La riflessione di Goffredo Bettini sul destino di Renzi come federatore del “centro” è stimolante ma, a mio parere, non convincente. Non mi convince, innanzitutto, l’ennesima riproposizione dello “schema a tre punte” di cui parlava Bersani, all’epoca della sciagurata foto di Vasto. Una sorta di ossessione per l’alleantismo, tenuto insieme dall’essere contro, che ha spesso caratterizzato il dibattito interno del Pd. Una via di fuga dalla definizione di un progetto politico strutturato a beneficio di un’identità (in)definita per contrasto: prima antiberlusconiani, oggi argine ai sovranisti. A dire il vero, nella versione di Bersani c’era almeno la cornice maggioritaria e la dichiarazione di intenti di passare a una democrazia decidente, salvo poi rimangiarsi tutto e dedicarsi anima e corpo al fallimento dell’unico progetto riformatore della Costituzione portato avanti da Renzi. Oggi, convivono senza imbarazzi la vocazione proporzionale (direi più una vocazione allo sbarramento alto), l’alleanza strutturale con il M5s e il tono paternalistico con cui ci si rivolge a Italia Viva: “Non picconate, potete crescere anche un po’ se fate come vi diciamo noi”. Da molti anni sostengo l’esigenza di una democrazia decidente, in cui si sappia chi ha vinto il giorno delle elezioni. Perciò non abbandono né l’aspirazione a una riforma strutturale della Costituzione, a partire dal superamento del bicameralismo paritario e introducendo l’elezione diretta del premier, né a una legge maggioritaria che possa selezionare le alleanze in base ai progetti e che renda contendibile l’individuazione della leadership.
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