Personalizzare i referendum non fa mai bene. Quantomeno non porta affatto fortuna. Quindi chi pensa a questo referendum come un manganello da usare contro qualcuno, ad esempio per regolare i rapporti di forza all’interno del M5S, e tra questi e il Pd, e tra loro e Conte, sappia che da noi non troverà sponda. Non stiamo ai giochetti, per una ragione di tutta evidenza: la demagogia supera sempre di molte spanne la razionalità e dunque accade che modifiche necessarie per modernizzare il paese, come una vera distinzione tra i due rami del Parlamento, fatta per bene e accompagnata da una riforma elettorale capace di garantire la rappresentanza dei territori, siano state sostituite e riproposte in un surrogato, in una versione populista-instagrammara. Una versione che naturalmente sta provocando una vertigine a chi, come nel Pd, sventolava la bandiera del riformismo, aspirava alla vocazione maggioritaria e oggi si ritrova nel bel mezzo di una contraddizione che fa venire il mal di testa al popolo democratico a difendere il taglio, a proporre il proporzionale e a teorizzare una sorta di Partito Unico Populista.
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