Le amicizie del sottosegretario Tofalo, i sospetti su Di Maio e gli interessi di Pallazzo Chigi. Così le tensioni nella nostra intelligence si riflettono sullo scontro tra il premier e il ministro degli Esteri
Roma. Loro che la vocazione alla segretezza ce l’hanno perfino nella qualifica professionale, si ritrovano sempre più spesso spiattellati sui giornali. Dovrebbero consacrare alla riservatezza la loro esistenza, il loro discreto operare nell’ombra, tutta un’epica di anonimo trafficare dietro le quinte, e invece stanno lì, sul proscenio. Costretti da una politica che va perdendo consistenza, e dunque impone – o permette – all’intelligence di riempire i vuoti. E spinti a loro volta, in un uroboro di sgraziata decadenza istituzionale, a ingraziarsi il governante di turno, l’astro in ascesa, prima che cambi il vento e pure il governante. Se insomma Giuseppe Conte ha commesso l’imprudenza di ridefinire le regole del gioco dei nostri Servizi segreti, estendendo di fatto la durata dei mandati delle loro cariche apicali, con un emendamento precipitoso inserito in pieno agosto in un decreto che riguarda la crisi del Covid, è perché le insistenze, le pressioni, le raccomandazioni che venivano dai vertici della nostra intelligence erano insistenti e persistenti.
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