Spazio Okkupato

Il parà e Matteotti. Il fascismo come birichinata di Salvini

giacomo papi

La campagna di Salvini in Toscana (con aggressione). Il comizio a Napoli e la toponomastica addomesticata

Ieri a Pontassieve Matteo Salvini è stato aggredito da una donna che, dopo avergli urlato “Io ti maledico”, gli ha strappato camicia e catenina. All’unanime solidarietà del mondo politico, uniamo la nostra. Luciana Lamorgese, che ha preso il posto di Salvini al ministero dell’Interno, ha dichiarato: “Il paese ha bisogno di una campagna elettorale serena, basata su un confronto leale e rispettoso di tutte le posizioni politiche, lontana dalle estremizzazioni dei toni e dei comportamenti”.

 

Domani alle ore 18 Matteo Salvini terrà un comizio a Napoli. Nel manifesto insieme allo slogan “Prima i Campani” (ma se tutti arrivano primi chi arriva secondo?) l’indicazione del luogo – piazza Matteotti – è accompagnata da una parentesi apparentemente innocua: (piazza della Posta). E’ una notazione banale, perfino inutile in apparenza. In realtà si tratta di uno sberleffo cifrato e di una strizzatina d’occhio al mondo dell’estrema destra che evidentemente prova ancora un filo di fastidio per il fantasma di Giacomo Matteotti, il deputato soprannominato “il socialista impellicciato” (premonizione autarchica di “radical chic”) ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Dice, va be’, lascia stare, ha fatto cose peggiori. Vero. Almeno ha avuto un’idea. Falso. Il giochino di togliere la piazza a Matteotti per riassegnarla alla Regia Posta era già stato fatto nel 1993 da Alessandra Mussolini, quando sfidò Bassolino alla carica di sindaca. Il fatto che sulla facciata della posta, costruita dal fascismo, ci sia scritto “ANNO 1936 XIV dell’E. Fascista” potrebbe avere ispirato entrambi.

 

Rifiutare la toponomastica è una strategia elementare per rifiutare la storia. Una strategia che dimostra quanto nella destra, a venticinque anni da Fiuggi, sia ancora viva la simpatia per il fascismo e il rifiuto della Repubblica. A sinistra nessuno, tranne ovviamente Marco Rizzo, si ostinerebbe a chiamare San Pietroburgo Leningrado. Per facilitare il compito ai cartellonisti di Salvini ho svolto qualche ricerca: a Fratta Polesine, Rovigo, dove Matteotti era nato nel 1885, piazza Matteotti si chiamava piazza Ca’ Pepoli (ma al bar della piazza non lo sapeva nessuno, ho dovuto chiamare l’ufficio del sindaco), a Torino corso Oporto, a Bologna strada di Galliera, a Firenze viale Principe Amedeo, a Genova piazza Umberto I e dal 1944 piazza Ettore Muti, a Roma ponte Littorio e a Milano corso del Littorio. E’ un elenco sommario, che dimostra con quanto impegno il fascismo si sia dato da fare sulla toponomastica.

 

Il potere si afferma non solo rinominando il tempo (anno XX dell’èra fascista) ma anche lo spazio (ribattezzare vie e piazze). Una veloce passeggiatina nel centro di Milano negli anni Trenta del secolo scorso avrebbe toccato, oltre al suddetto corso del Littorio, via Adua e via degli Arditi, corso Costanzo Ciano e via Arnaldo Mussolini, piazza Giovinezza, via Vittoria, via del Fascio, via Marcia su Roma e, naturalmente, piazza Predappio. La cancellazione avvenuta nel dopoguerra fu, insomma, una reazione alla furia con cui il fascismo impose la propria mitologia alla Nazione. E’ una battaglia, quella sui nomi, che periodicamente riprende. Succede ogni volta che per accreditarsi a sinistra un sindaco – negli ultimi anni lo hanno fatto De Magistris e Raggi – si mette in testa di cancellare i pochi luoghi intitolati a fascisti scampati agli uffici della toponomastica della Repubblica. Non si combatte più nelle strade, per fortuna. Si combatte sulle strade.

 

Fare sistematicamente l’occhiolino al fascismo è semplice e poco rischioso, in mancanza di modelli più recenti. Molto più difficile immaginare a quale mitologia contemporanea potrebbero mai attingere Salvini e Meloni quando, prima o poi, arriveranno al potere. Sarebbero in grado di inaugurare una toponomastica coerente con il pantheon dei loro elettori? Largo Briatore? Salita Santanché? Piazzetta Paolo Di Canio? Via Rita Pavone? Corso Family Day? Sito Belsito? Vicolo il Trota? Con rispetto parlando, quello che non finisce mai di stupirmi di questi ammiccamenti al ventennio è la sproporzione tra la baldanza ostentata e la miseria delle imprese ardite.

 

L’omaggio al fascismo è sempre in forma di birichinata, mai rivendicato a viso aperto. Il richiamo alla violenza – nel caso di Matteotti a un assassinio – è sempre indiretto, soltanto suggerito. (Anche se poi, a Macerata, Ardea, Lavinio, Palermo, Castiglione della Pescaia, Marsala e pochi giorni fa Colleferro, la violenza e il razzismo esplodono davvero). Salvini è tutto uno schiacciare l’occhio e nascondere la mano: “Gli unici fascisti rimasti in Italia sono quelli rossi”, ha dichiarato ieri mattina, prima di essere aggredito, ma dopo aver cambiato nome alla piazza di Napoli. Il massimo della monelleria sono, appunto, i dispettucci alla memoria di Matteotti, i libri nazi sullo sfondo della libreria di casa, i bacioni in fondo ai tweet, gli insulti ai conduttori invisi, il rifiuto della mascherina o l’utilizzarla in diretta per pulircisi gli occhiali, regalarla ai fan dopo averci sputacchiato per ore, sceglierla nera, tricolore o con il Leone di San Marco quando sfila con la fidanza sul red carpet di Venezia. Forse era per rimpolpare un pochettino il punteggio dell’eroismo del capo che a qualcuno dello staff era venuta l’idea di scimmiottare in Toscana la trasvolata su Vienna di D’Annunzio. Oggi ad Arezzo – così almeno era stato annunciato – Salvini si sarebbe dovuto lanciare in paracadute da 5 mila metri di altezza in compagnia di qualche parà della Folgore, un generale in pensione e un ex portiere di calcio. All’ultimo, ma prima dell’aggressione, l’annuncio di avere rinunciato. “Non oggi”, hanno fatto sapere, “forse più avanti”.

 

Di più su questi argomenti: