Ogni volta che i ragazzi grillini al governo cominciano a compilare la lista dei colleghi ministri che rischiano il posto, insomma quelli un po’ scarsotti, azzoppati, praticamente quelli da sostituire in quel rimpasto cui i sottosegretari Buffagni, Castelli e Cancelleri guardano come una promessa di felicità, ecco che gli aspiranti ministri iniziano di slancio dalla B di Bonafede. Poi però si fermano un attimo, si osservano perplessi, “no lui non si può”. Scuotono la testa, “è amico di Conte”, dicono, dunque lo depennano e passano direttamente alla C di Catalfo e alla D di De Micheli. E così Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, più noto fra Le Cure di Firenze e Mazara del Vallo come Dj Fofò, è diventato per i grillini l’inamovibile ectoplasma del governo, il fantasma di Via Arenula, il ministro che tutto doveva riformare e su cui invece è presto precipitata l’ombra del sospetto (“ci è o ci fa”?). Ombra nella quale, bisogna riconoscerlo, lui si è saputo nascondere fino a scomparire: dove sta Fofò? Il ministro e avvocato che confonde il 416 bis con il 41 bis e che si vide accusato di aver provocato la scarcerazione di alcuni boss della mafia, sarebbe – in teoria – il capo delegazione del M5s al governo. Insomma il rappresentante del partito di maggioranza relativa. Quello che parla. Quello che tratta. Uno importante. In vista. Ma chi lo vede più? Quando i colleghi del Movimento devono mandare qualcuno a discutere con quelli del Pd, ormai si rivolgono a Luigi Di Maio o a Riccardo Fraccaro. La sola idea che a negoziare su legge elettorale e fondi europei con una volpe come Dario Franceschini possa andare Fofò, provoca tra i ministri grillini inarcamenti di sopracciglia e precipitare di braccia. E non ci sono smorfie da medico al capezzale del moribondo che bastino a esprimere i dubbi di questi uomini (e donne) sulla vitalità del loro collega. Persino il suo portavoce, che si chiama Andrea Cottone, annusata l’aria, se n’è andato a lavorare alla Camera. Fatto di non secondaria importanza, in un Movimento in cui da sempre la comunicazione è più forte del politico.
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