Intervista al presidente della commissione Affari Ue del Senato. "Il Parlamento sia centrale sul Recovery plan. Dopo le regionali, porremo con urgenza il tema del Fondo salva stati. Deciderà Conte come migliorare la squadra dell'esecutivo"
Roma. Ha indossato i panni del censore, del pignolo custode della centralità del Parlamento, col rischio di apparire un po’ come il Gianfranco Fini parodiato da Stanis La Rochelle in Boris. “L’ho fatto per scongiurare un rischio, e ancor più per prevenire quello che sarebbe un errore”, dice Dario Stefano, senatore del Pd, presidente della commissione Affari europei, che nei giorni scorsi ha messo in guardia il governo dal marginalizzare le Camere. “Il presidente Conte – spiega Stefano – è stato chiaro sull’importanza del coinvolgimento del Parlamento nella stesura del Recovery plan. Pertanto, non sarebbe coinvolgimento autentico se si esprimesse, come qualcuno immaginava, attraverso un allegato alla nota di aggiornamento del Def. E’ nelle commissioni e nelle Aule di Camera e Senato che trovano espressione le diverse sensibilità dei territori, anche nella voce delle opposizioni. Che vanno coinvolte anche su questo tema, oltre a quello delle riforme costituzionali già additato dal ministro Franceschini. D’altronde, il tempo stringe, perché il Parlamento potrebbe essere chiamato a esprimersi su una risoluzione a inizio ottobre. E chiedo, pertanto, di avere il tempo necessario per leggere il piano Next Generation Italia per intero. Finora il nostro giudizio si basa solo sulle anticipazioni lette sui giornali”.
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