Populista a chi? Se si sceglie di osservare senza schemi ideologici gli ultimi scampoli di questa doppia campagna elettorale (regionali e referendum) e se si accetta di paragonare poi questa campagna con quella più famosa che precedette la nascita di questo Parlamento (4 marzo 2018) non si potrà non notare un fatto interessante, e divertente, che costituisce forse la vera novità della fase politica che sta vivendo oggi l’Italia: la progressiva trasformazione del populismo nel principale nemico pubblico del nostro paese. C’è stata una stagione in cui i politici italiani rivendicavano con orgoglio la propria appartenenza alla cultura populista e basta scorrere la timeline di questa legislatura per ritrovarsi di fronte a diversi casi di esponenti politici impegnati a combattere più l’antipopulismo che il populismo. Giuseppe Conte fino a un anno e mezzo fa rivendicava spesso “la natura populista di questo governo”. Lo stesso faceva Salvini (“Populista a me? Un complimento”). Lo stesso faceva Meloni (“Meglio populista che servi”). Lo stesso faceva Di Maio (“Il M5s è populista, né di destra né di sinistra”). Il dato curioso di questa doppia campagna è che non c’è un solo leader che non si senta in dovere di comunicare con solennità ai propri elettori di essere lui, e non un altro, il vero unico e originale argine contro la deriva populista degli avversari.
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