Ora sembra che l’antipolitica l’abbiano inventata i grillini, e le pattuglie del “no” referendario, compresa la piccola scalpitante guarnigione radicale capitanata dalla signora Bonino e dai suoi seguaci già capezzoniani, si scatenano contro i miei novissimi alleati strategici Di Maio, Buonafede e Toninelli. Col cavolo, miei cari Cesaretti amatissima, miei cari Roccuzzo supergrafico stylish, miei cari Loquenzi eloquente e sonnolento Della Vedova, l’antipolitica è passata dalle vostre parti e un po’ da tutte le parti, tranne le mie che voto sonoramente il mio banale “sì” alla riduzione del numero dei parlamentari. Ve lo ricordate il referendum pannelliano, del caro buon Pannella sempre rimpianto, contro il finanziamento pubblico dei partiti? Ve le ricordate le veementi tribune contro l’ammucchiata, cioè il sistema dei partiti bollato di consociativismo e condannato in blocco come cupola partitocratica? Grillo arrivò buon ultimo, tra Giannini qualunquista e lui c’era stato Marco il fustigatore del sistema della politica, quello che si tirava fuori e spingeva per il crollo, con tutti i suoi allievi, cattivi allievi di lui buon maestro. La vena antipolitica è una tipica risorsa italiana che ha principiato con i diplomatici e mercanti fiorentini della buona società guicciardiniana, quelli che avevano capito meglio di Machiavelli di che stoffa era l’Italia del Cinquecento, e praticavano il particulare di una rassegnazione politica snob all’antipolitica.
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