l'intervista
"Bonaccini ha ragione. Serve tornare a un Pd largo e plurale". Parla Marcucci
Il capogruppo dem al Senato plaude all'appello del presidente emiliano per il rientro di Renzi e Bersani
L'intervista al capogruppo dem al Senato. "Il ricongiungimento con Renzi e Bersani è la via naturale, va recuperata la vocazione maggioritaria. Il rimpasto? Non è la fine del mondo. Servono i migliori per gestire il Recovery"
Pure nella concitazione di una campagna elettorale che si prometteva facile e invece non lo è, nel ragionamento di Andrea Marcucci affiora la serena consapevolezza di chi sa che certe volte anche guardandosi alle spalle è possibile vedere il proprio futuro. "Ecco perché credo – ci dice il capogruppo del Pd al Senato, lucchese di Barga, in una pausa tra un evento e l'altro nella sua Garfagnana – che sarebbe sbagliato rinunciare al progetto originario del Pd: che è quello di unire le diverse culture progressiste sotto l'ombrello di un riformismo moderno". Che è anche quello, gli facciamo notare come se già non lo sapesse, prospettato da Stefano Bonaccini: fare in modo che nel Pd tornino sia Matteo Renzi sia Pier Luigi Bersani. Un rincongiungimento famigliare, da realizzarsi magari dopo il responso delle urne di domenica. "E' il percorso naturale, visto che peraltro parliamo non solo degli ultimi due ex segretari del partito, ma anche di figure che questo partito hanno contribuito a fondarlo prima, e a portarlo al governo poi. E' lì che si deve tornare: a quella vocazione maggioritaria che ci ha spinto tutti a condividere i nostri sforzi. Ecco, senza ossessioni per nomi e personalismi, credo che c'è una larga fetta di elettorato del centrosinistra che oggi non si riconosce solo nel Pd, e che va recuperato, va attratto di nuovo a noi con un progetto credibile di cambiamento".
Che è un po', a ben vedere, anche il ragionamento alla base del teorema di Goffredo Bettini: solo che a queste conclusioni, a questo obiettivo, il mentore di Zingaretti vuole arrivarci per altre vie, riportando cioè in auge quella divisione dei compiti tra un partito di sinistra modello Ds, e uno di centro moderato e liberaldemocratico stile Margherita. "A volte negli schematismi rischiamo di perderci, specie a pochi giorni da un voto così importante come quello del 20 settembre. Ma io, se devo dire, mi sento più vicino all'idea del presidente Bonaccini che recupera lo spirito veltroniano del 2008. Il binomio Ds-Margherita è stata una tappa di avvicinamento verso il traguardo della fondazione del Pd. E indietro non si torna. Anche perché sono convinto che solo con un Pd largo e plurale si offra agli italiani una alternativa credibile, e di governo, alle destre. Che è poi quello che tanti nostri elettori ci chiedono. Da toscano, sento tutta l'urgenza di evitare che alla guida della mia regione vada una persona che, come Susanna Ceccardi, ha votato contro il Recovery fund, ovvero contro quella che è oggi l'unica reale prospettiva di rilancio dell'economia del paese".
Ma anche una partita complicata che impegnerà il governo, e lo metterà alla prova. E non a caso c'è chi già parla di un rimpasto, all'indomani delle regionali. "Non metterei il voto di domenica in correlazione con gli equilibri della maggioranza. Ma ragionare su un rafforzamento dell'esecutivo non mi pare certo la fine del mondo del mondo. Serve il governo migliore per la sfida più difficile, quella del Recovery, che sarà decisiva non solo e non tanto per i destini di questa maggioranza, ma per quelli del paese".