“Senza l’organizzazione, i voti sono come una bibita gassata. Si trasformano nel propellente d’un fenomenale rutto nell’universo”. Alcuni anni fa nel cortile della Camera Umberto Bossi, che forse già aveva capito tutto, utilizzava il suo spirito greve ma efficace per spiegare – con metafora eolica – al più giovane cronista quel fenomeno nascente, ma ancora lontano dal trenta per cento del 2019, che si chiama Matteo Salvini. E già allora l’Umberto sembrava aver intuito ciò che sempre più, pochi anni dopo, cioè oggi, mormorano quasi tutti i leghisti mentre osservano gli inciampi e le contorsioni del loro segretario sgarzolino e twittante. Un dissipatore che non azzecca mai una nomina in Rai (dove tutti stanno passando con la Meloni), così come nelle partecipate, nei ministeri e nel sottopotere romano. E persino all’interno del suo partito. Le sbaglia quasi tutte. E più sbaglia più si inguaia, come rivelano gli scandalucci di questi giorni. Se infatti le storie di denaro che raccontano i giornali appaiono confuse, ecco che sotto, sopra e in mezzo alla Lega emerge tuttavia chiaro il quadro di un mondo di pasticcioni, commercialisti marrazzoni, intermediari strampalati e delegati millantatori. Tutte mezze figure, alcune tragicomiche, che si muovono all’ombra del grande capo che ormai sembra non accorgersi di nulla perché il tempo probabilmente lo passa su Instagram e dunque vive in una bolla comunicativa in cui realtà e propaganda s’intrecciano a tal punto da confondere per primo lui stesso.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE