Così nasce il trionfo transgender di Emiliano
Una passeggiata nella regione gelatina, dove l’appartenenza si modella come il gel di Fitto
Bari. Si sono sfidate due antichità e alla fine ha vinto Michele Emiliano che è l’antichità meno antica, mentre ha perso Raffaele Fitto che era l’antico ma davvero troppo antico. In Puglia entrambi hanno spacciato lo stesso fluido, ma Fitto lo ha spacciato meno bene di Emiliano che, chiuso in un luogo scaramantico, ha detto ai ragazzi del suo staff: “Io non esco prima delle 20. Sono meridionale. Troppi jellatori. Attendiamo”. E mentre lo diceva sorrideva, come sorrideva, al comitato elettorale di via Vittorio Emanuele, la sua compagna Elena Laterza, che già nel primo pomeriggio aveva disegnato il volto felice della vittoria possibile: “Il mio Michele ce la può fare”.
Per mesi, sia Emiliano che Fitto si sono contesi gli stessi compari, gli stessi accattoni del voto, quelli che quindici anni fa hanno permesso a Fitto di essere eletto presidente e che oggi si sono candidati con Emiliano, intercambiabili, interscambiabili, convinti che questa volta potesse essere ancora lui il guaritore, il basileus, l’uomo del tavoliere che mette tutti a tavola. Beppe Vacca, che non è solo stato il presidente dell’istituto Gramsci ma ultimo segretario dei Ds in Puglia (“e la mia ultima dichiarazione riguardava proprio Emiliano. Avevo detto che i magistrati non si possono candidare”), spiega che Emiliano, di cui è pure amico, è una strettoia di sinistra, l’inevitabile del destino, e che la sua struttura da caudillo “è purtroppo il prodotto di una legge elettorale, cattiva, che al sud ha prodotto mostruosità”. Emiliano è una mostruosità di sinistra? “Emiliano è il tutto e il contrario di tutto. Ma Emiliano vince”.
E a Bari, dove passano sia i venti che le nuvole, in questa città dove più facilmente di altrove i colori e le bandiere si mescolano perché la Grecia è troppo vicina e mescolare è sempre intelligenza, anche l’economista Gianfranco Viesti ripete a voce quello che Vacca suggerisce al telefono e che insomma Emiliano è per la Puglia il meno peggio dopo la prematura scomparsa di Guglielmo Minervini, l’uomo buono, il bel comunista che, dice ancora Viesti, “tanto piace a noi, ma che il cielo ci ha maledettamente portato via”. Si racconta che il Pd nazionale non ha dovuto candidare Emiliano ma che Emiliano alla fine abbia scelto di candidarsi “anche” con il Pd – di cui rimane pure segretario – perché “in Puglia ci penso io. So cosa è giusto per il Pd”. La destra spelacchiata gli ha contrapposto Fitto, che non aveva ancora perso ma che già, nel suo comitato, scaricavano: “Dovevamo candidare Nuccio Altieri anziché lui”.
Di Fitto si erano perse le tracce. Smarrito in Europa, dove è europarlamentare, sovranista con Giorgia Meloni, a tratti quasi malinconico. C’è chi ricorda che Fitto, volendo, poteva perfino essere un uomo da Pd: “Eras democristiano. Lui con la destra non c’entra molto”. Come Emiliano c’entra poco con la sinistra. È un male? Non sono state le quindici liste macedonia di Emiliano e neppure la zalonata, la firma di duecento assunzioni in teatro che la bravissima Annarita Di Giorgio, sul Foglio, è riuscita a documentare, che hanno sconvolto i pugliesi. I pugliesi non si scompongono di fronte a nulla e nulla li sconvolge. Chi conosce bene la Puglia la chiama infatti la regione gelatina e si vuole dire che qui l’appartenenza si modella come il gel ha modellato i capelli di Fitto, che su consiglio del guru Daniel Fishman se li è lasciati crescere (povero lui) per fare dimenticare di essere stato democristiano, berlusconiano, fittiano.
La fortuna (o sfortuna) di questa regione è che lungo le Puglie – regione policentrica, scriveva Guido Piovene – è più facile dimenticarsi, rimuovere il proprio passato che in altre parti è una condanna ma in Puglia il cv del marinaio. Un partito abbandonato vale qui come un altro mare che si è attraversato. Non è un’infamia ma un merito acquisito. In Puglia il passato passa perché non è la prigione dell’identità. È vero che c’è qualcosa di trasgressivo e libertino nella transumanza che ha denunciato il candidato di Iv e Azione, Ivan Scalfarotto, la risorsa di Matteo Renzi e di Carlo Calenda, il “partecipo pure io” così come Antonella Laricchia, la candidata del M5s che non si è ritirata malgrado tutto e che ieri nessuno andava a trovare neppure per l’intervista di consolazione.
E però, a chi non piace la trasgressione? Chi prossimamente studierà la Puglia – e la Puglia è la regione più studiata da quelle carovane di antropologi, sociologi, tutti intellettuali nel trullo – non potrà che esaminarla come la prima regione transgender. Idoli di destra sono passati con facilità con Emiliano ma uomini di sinistra si sono consegnati a Fitto. L’ex sindaco di Bari, ad esempio, Simeone Di Cagno Abbrescia, ex parlamentare di Forza Italia, è stato nominato da Emiliano presidente dell’acquedotto di Puglia e non poteva che sostenere Emiliano. Massimo Cassano, alfaniano, si è scoperto di sinistra dopo la nomina a commissario straordinario Arpal. Giovanni Stea, che era consigliere regionale di Forza Italia, è stato strappato da Emiliano e nominato assessore all’Ambiente.
La Puglia è davvero un’opera buffa e del resto è la terra di Giovanni Paisiello. Qui finirebbe in sorriso anche la guerra civile. Fitto, che non aveva incarichi da offrire ma solo promesse da fare, ha riportato a destra acchiappavoti come Leo Di Gioa – che era a sinistra – e poi Napoleone Cera, mister novemila preferenze, quel Saverio Tammacco, un altro che si era formato con Minervini che prima che la malattia lo uccidesse è stato sindaco di Molfetta, riferimento di Nichi Vendola. E allora perché (ancora) Emiliano? “È un uomo che non riuscite a capire” dice Luca Rutigliano, il suo simpatico stratega di serate, l’inventore della clacsonata di fine campagna, “il comizio drive-in: 286 automobili per ascoltare Michele”. Emiliano non ha mai nascosto di avere nelle sue liste semivip, sindaci un po’ fascisti: “Embé? Mi servano a vincere”. Ha il faccione del mascalzone che non si vergogna ma ieri per la prima volta, quando ha ringraziato i pugliesi, si è quasi vergognato del suo successo: come se avesse capito che dopo aver battuto la destra deve solo battere (il peggio) di se stesso.