Al referendum vince il Sì, in Puglia resiste Michele Emiliano, in Toscana si afferma Eugenio Giani, in Campania trionfa Vincenzo De Luca, in Veneto spopola Luca Zaia, in Liguria si afferma Giovanni Toti, le Marche vanno a Francesco Acquaroli, nel governo si rafforza il Pd, nell’opposizione si indebolisce il salvinismo e nell’attesa di conoscere i dettagli numerici del voto alle regionali ci sono già alcune considerazioni di fondo che si possono fare sull’esito di queste elezioni. E se si ha la pazienza di andare oltre il risultato del referendum e oltre il risultato delle regionali ci sono buone ragioni per dire che la politica degli estremismi esce indebolita da questa doppia tornata elettorale. La prima ragione ha a che fare con il referendum costituzionale. Il referendum vinto dal fronte del Sì non era un referendum sul governo (la riforma in Parlamento è stata approvata dal 97 per cento dei parlamentari) e non era neanche un referendum sul grillismo (il taglio al numero dei parlamentari lo chiedono tutti i partiti della Repubblica da circa trent’anni) e per quanto ci sia qualcuno nella maggioranza tentato dal trasformare il Sì alla riforma costituzionale in una vittoria del governo (non è così, nonostante lo sforzo generoso del gruppo Gedi e di Repubblica di trasformare questo referendum in un referendum sul grillismo) la verità è che la vittoria del Sì al taglio del numero dei parlamentari (circa il 70 per cento) è una buona notizia in primo luogo perché permette di scongiurare un pericolo che l’Italia avrebbe corso in caso di vittoria del No: l’irriformabilità delle nostre istituzioni politiche anche per aspetti minori. In questo senso, è incoraggiante che le istituzioni italiane non siano da considerare del tutto irriformabili (una terza vittoria di fila del No a un referendum costituzionale, dopo le vittorie del No del 2006 e del 2016, avrebbe messo probabilmente una pietra sopra a ogni tentativo di riforma istituzionale). In questo senso, è incoraggiante che la maggioranza ieri abbia ricordato che il taglio del numero dei parlamentari non è un fine ma è un mezzo per rendere più efficiente il Parlamento (il Pd ha il compito ora di dare concretezza alla sua promessa di integrare questa riforma imponendo nell’agenda della maggioranza l’introduzione della sfiducia costruttiva, la valorizzazione del Parlamento in seduta comune e l’approvazione rapida di una legge proporzionale). Ma, su questa scia, è incoraggiante anche ciò che emerge con nettezza dalle elezioni regionali.
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