passeggiate romane
“Niente attacchi a Renzi”. Dove porta la cautela di Zingaretti
La linea del segretario dopo il buon risultato delle regionali e il no di Franceschini al rimpasto (anche se...)
“Sobrietà. Evitiamo di fare i gradassi. Non facciamo come gli altri. I risultati parlano da soli”. Nicola Zingaretti è stato categorico con il suo staff e con i parlamentari a lui vicini. La vittoria (“Trionfo”, dicono sottovoce al Nazareno) va gestita senza alzare i toni e le polemiche. Per cui, nonostante molti deputati fossero pronti ad attaccare Matteo Renzi e Carlo Calenda per i loro non eccellenti risultati, Zingaretti ha imposto l’alt alle polemiche. “Sobrietà. Non facciamo come gli altri”, ha ripetuto il segretario del Partito democratico (che ora ha scelto di puntare sulla linea del congresso a tesi per provare a rinforzare l’identità del Pd). I sassolini dalle scarpe saranno levati in un’altra circostanza. Anche il rimpasto è tenuto fuori dall’agenda del Nazareno. Il primo a bocciare l’idea è stato Dario Franceschini, che a toccare il governo non ci pensa proprio. Ma anche Zingaretti è lontanissimo da questa prospettiva. Ora il presidente della regione Lazio si ributterà in campagna elettorale per i comuni che andranno al ballottaggio. Con il vento che è cambiato, il segretario si è convinto che ci siano buone possibilità di prendere molti capoluoghi in bilico.
Lunedì nel primo pomeriggio le stanze del Nazareno erano vuote. Poi piano piano che arrivavano ottime notizie, il corridoio davanti la parete del segretario si è popolato di ministri, sottosegretari e deputati. “La vittoria ha mille padri, la sconfitta uno solo”, diceva Winston Churchill. E ieri un gruppetto di fedelissimi del segretario, vedendo quell’avanti e indietro di maggiorenti dem venuti a baciare la pantofola di Zingaretti, si è ricordato di quella frase. Che succederà ora nei 5 Stelle? Dal Nazareno guardano preoccupati quello che potrà accadere dopo il risultato certamente non lusinghiero del partito fondato da Beppe Grillo. Il rischio dell’anarchia, cioè di un partito balcanizzato in cui nessuno è più in grado di dare ordini, è quello che più temono i Dem. “Già abbiamo visto che per le regionali nessuno si è riuscito ad imporre per fare le alleanze. Chissà che succederà ora”, ragiona più di qualche Dem. Con il rischio poi che queste tensioni vengano scaricate sul governo.