Che la loro infedeltà alla linea non fosse granché tollerata, lo si era capito. Che però si passasse alle carte bollate, questo non era scontato. E invece gli otto parlamentari del M5s che hanno fatto campagna per il No al referendum costituzionale, e dunque contro la supposta madre di tutte le battaglie del riformismo grillista, si sono visti recapitare una lettera di diffida da parte del famigerato collegio dei probiviri. Lo scrutinio si era concluso da meno di ventiquattr'ore, i postumi dei festeggiamenti non erano ancora stati smaltiti, e la mannaia già cadeva sulla testa dei malcapitati: sei deputati e due senatori che, sulle loro chat, si scambiavano pochi rapidi messaggi per trovare nelle risposte altrui conferma al proprio sgomento. "Sì, siamo stati tutti segnalati". Altro che libertà di coscienza, altro che pluralità di visioni: imputare a un parlamentare di aver svolto propaganda contro le indicazioni del partito è una roba che ricorda più Stalin che Rousseau.
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