Rito ritrito. O rito di Vito. Nel senso di Crimi, il reggente grillino che convoca in un piovoso lunedì di fine settembre tutti i ministri, i sottosegretari e i capigruppo del M5s. Tutti insieme in un agriturismo non lontano da casa di Virginia Raggi, in borgata Ottavia, semi periferia romana. Una specie di conclave, in pratica, come accadeva ai bei tempi, nel 2013, quando però si era lontani dal governo e dal potere, e allora tutti arrivavano in autobus con gli abiti di fatica per mandare in vaffa la casta insieme a Beppe. Adesso Beppe non c’è, non si fa vedere, “e per questo tutti litigano”, come spiega il collaboratore di un ministro. Tutto è cambiato. E infatti, per dirla con Carlo Sibilia, che arriva ingessato nel suo gessato color Viminale: “No niente autobus ormai abbiamo tutti le auto bl… ehm di servizio”. Ed ecco Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, Riccardo Fraccaro sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Sergio Costa ministro dell’Ambiente, Luigi di Maio ministro degli Esteri, Federico D’Incà ministro ai rapporti con il Parlamento… La sfilata di una piccola nomenclatura venuta a ragionare, o meglio a scarnificarsi, sulla propria crisi dopo le elezioni regionali che hanno reso inoccultabile il crollo elettorale del Movimento, il non-partito che i sondaggi inchiodano al 16 per cento.
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