Un rimpasto? "Non lo escludo, ma prima cambiamo l'agenda di governo". Il Mes? "Basta tatticismi, serve per ripensare la sanità italiana". Il partito? "Dobbiamo archiviare la stagione neoliberista. E dal proporzionale non si torna indietro". Il colloquio col vicesegretario del Pd
Non è, dice lui, una questione di fretta. “Qui nessuno ha posto ultimatum, né intendiamo fare esibizioni muscolari per mostrare una centralità che è stata già sancita dal voto delle regionali”. Ma se gli fai notare che, a distanza di una settimana dal responso delle urne, alle richieste avanzate da Zingaretti hanno fatto seguito, da parte di Palazzo Chigi, per lo più attestati di buone intenzioni e parecchie cautele, forse legate alle paure sulla perenne e crescente fibrillazione del M5s, allora Andrea Orlando fa valere le sue ragioni. “Non abbiamo l’ansia d’imporre nulla a nessuno, dato che alla teoria della subalternità culturale al grillismo non abbiamo mai creduto”, dice il vicesegretario del Pd. “Sappiamo che il rischio dello sparpaglio, nel M5s, è reale. E noi, come forza che ha a cuore le sorti del governo, dobbiamo farcene carico. Ma più grande del rischio della crisi dei nostri alleati, è il rischio dell’immobilismo. Le sofferenze interne ai singoli partiti non possono diventare l’alibi per restare fermi. Perché, nei mesi che ci attendono, a dettare tempi e scadenze non saranno i leader di questa o quella forza politica, ma l’Europa”.
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