Nomi, volti e incarichi di chi lavora nei ministeri e a Palazzo Chigi per preparare i progetti che l'Europa dovrebbe finanziarci. Le tensioni al Mise, dove il fedelissimo di Di Maio latita. Il danese alla corte di Conte. Il deep state che funziona
Certe volte pure la ricorrenza dei nomi, in questa piccola repubblica fondata sull’“Ah Fra’, che te serve?” che è il centro di Roma, serve a descrivere una diversa mappa se del potere, di quel potere che non si ostenta, ma anzi lo si esercita proprio nella misura in cui lo si dissimula, nella trafila quotidiana degli incontri riservati, dei beneplaciti concessi o negati. E così, in queste settimane in cui tutta la politica, e il mondo vario e variegato che gli ruota intorno, sono concentrati sui lavori preparatori per il Recovery plan, tra i corridoi dei ministeri rimbalza sempre la stessa frase, che ondeggia a seconda dei casi dall’esortativo al perentorio: “Senti Fabrizio”, “L’hai chiesto a Fabrizio?”, “Vedi che dice Fabrizio”. “Il mio Fabrizio”, ci tiene a rivendicare Enzo Amendola, il ministro degli Affari europei che il suo capo di gabinetto, quel Fabrizio che di cognome fa Lucentini, se lo coccola e se lo rimira come una perla da proteggere dai raggi corrosivi della luce acida dei retroscenisti.
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