Ci sono due grandi linee di conflitto politico nelle democrazie dei paesi economicamente avanzati. Una è tra chi difende una democrazia parlamentare basata su principi liberal-democratici contro chi a questi principi è meno sensibile: di costoro i populisti sono oggi i rappresentanti tipici, assecondando pulsioni estremistiche presenti tra gli elettori e traducendole in proposte politiche irrealistiche e dannose. L’altra, che è stata prevalente sino a tempi recenti ed è sempre molto forte, è quella tra destra e sinistra, sulla base di diverse formulazioni, più o meno esigenti, del principio di uguaglianza (meglio: di pari opportunità). Preferisco questa definizione delle “due linee” ad altre che ad esse si sovrappongono, in particolare a quella tra sostenitori o contrari all’apertura internazionale, tra “cosmopoliti” e “nazionalisti”. Queste sono categorie descrittive che non colgono il significato politico di destra e sinistra: ceti ricchi e istruiti, cosmopoliti e internazionalisti anche perché avvantaggiati dalla globalizzazione, possono essere di destra o di sinistra, come lo possono essere ceti poveri e meno istruiti, solitamente facile preda di movimenti populisti e inclini a ritenere che debba essere lo stato nazionale a provvedere direttamente al loro benessere.
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