Di fronte alla candidatura di Calenda, il Pd può dimostrare che la cifra del nuovo partito è quella dell’inclusione e può cogliere così l’occasione della candidatura di un talento indisciplinato non per alimentare uno scontro fratricida ma per aprire invece la fase calamita e tentare di trasformare le prossime comunali in un’occasione per attirare dentro al perimetro del Pd tutto il meglio della cultura riformista che può offrire il paese
Sono passate da poco le sedici e finalmente Carlo Calenda risponde al telefono. L’ex ministro dello Sviluppo sa cosa vogliamo chiedergli e dice di no, che interviste non ne fa, che non ne vuole discutere e che semmai ne parlerà tra qualche giorno quando prenderà una decisione. La decisione ovviamente è quella che riguarda Roma ed è quella che riguarda la sua possibile candidatura a sindaco e mentre Calenda tenta di sviare la conversazione, il tono delle sue parole sembra essere più deciso delle sue argomentazioni e l’impressione è che l’ex ministro non abbia dubbi e che abbia deciso di fare quel passo che in molti si auguravano che facesse: provare a trasformare Roma in un formidabile laboratorio politico dell’antipopulismo.
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