Roma. Succede di tutto, come sempre, ma alla fine non succede quasi niente di decisivo. La Roma città aperta all’ultimo Dpcm si sveglia con la sindaca Virginia Raggi in tribunale per il solito processo Marra e con l’unico, per il momento, sfidante di peso, Carlo Calenda, che si azzanna con mezzo Pd, locale, regionale e nazionale. Un lunedì bizzarro che è destinato a ripetersi, e chissà per quanto. E che alla fine raggiunge vette impensabili quando il leader di Azione, che sogna il Campidoglio al motto “chi mi ama mi segua”, dice che la grillina, in fin dei conti, “non è il male assoluto” e che Gianni Alemanno ha fatto molti più danni. Dichiarazioni che rimbalzano nell’Aula Europa della corte di Appello della Capitale, edificio ottagonale, che sembra un piccolo centro commerciale di provincia, posto alla fine della cittadella giudiziaria. E allora cadono tutte le certezze delle sparute truppe raggiane presenti, pronte a tirar fuori stecche di cioccolata Kit Kat e bottigliette d’acqua per la loro eroina imputata. “Ma che davvero? Davvero Calenda ha detto così?”.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE