Nella direzione il riassetto di governo è invocato un po' da tutti, tranne Franceschini (che resta in silenzio). Zingaretti annuncia il tavolo di confronte con Conte, che però fa spallucce. La resa dei conti rinviata a gennaio, sempre che la pandemia non scombini i piani
L’hanno evocato un po’ tutti, senza nominarlo davvero. Ma nella direzione del Pd di ieri, la voglia di rimpasto è stata il rumore di fondo che ha accompagnato tutta la discussione. Lo ha prospettato per primo, intervenendo subito dopo il segretario, Michele Bordo, ponendo il tema di un “rafforzamento delle competenze al governo” e parlando in nome e per conto di quell’Andrea Orlando che del riassetto dell’esecutivo ha da tempo fatto un suo cruccio. E però l’ex Guardasigilli ha avuto buon gioco, ieri, a mostrare come non sia solo un suo capriccio: perché di “sistemare”, “rilanciare”, “dare la scossa” lo hanno chiesto un po’ tutti: da Barbara Pollastrini, area Cuperlo, a Matteo Orfini, da Alessandro Alfieri, gueriniano di Base Riformista, fino Goffredo Bettini. Insomma, “la consapevolezza è diffusa”, spiega Orlando ai colleghi deputati: “la consapevolezza, cioè, che senza correttivi, almeno programmatici, rischiamo di farci male”. E non a caso l'unica componente a non esprimersi è quella di Dario Franceschini, che impone ai suoi la consegna del silenzio: segno di come il governismo a prescindere, il quieta non movere et mota quietare che il capo delegazione dem ha adottato come bussola sua e del partito in questa fase, sia difficile da sostenere.
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