C’erano ristoratori legittimamente preoccupati per quel che ne sarà di loro e delle loro attività, certo. E però c’erano anche gli esagitati, i professionisti dello sfascio che ne hanno approfittato per menare le mani. E a quel punto la presa di distanza, i distinguo e le precisazioni sono scattate immediate: “Noi siamo qui per manifestare pacificamente, non c’entriamo nulla coi violenti”, dicevano i cittadini radunatisi davanti al porticato di piazza Vittorio, rigettando come un corpo estraneo alla loro rabbia le truppe di teppisti che, dal capo opposto di via Po, assediavano piazza Castello. Solo che nel fermento della rabbia dei giorni precedenti, nel tam tam dei social, la distanza fisica tra le due piazze s’annullava in un unico guazzabuglio di furori, coi capi dei due fronti che si supportavano – chissà quanto inconsapevolmente – a vicenda. E anche per questo i tafferugli di Torino di lunedì sera sono quanto mai utili per capire di cosa parliamo, quando parliamo di manifestazioni infiltrate.
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