Gli Stati Uniti e noi, due sistemi diversi. Là la politica forma le corti, ma tutti hanno fiducia bipartisan nel fatto che le toghe saranno imparziali esecutori della legge. E poche regole, ma sanzioni certe se le infrangi
Quando i francesi votano il presidente, a pochi minuti dalla chiusura delle urne in tv si assiste al gioco delle immaginette sovrapposte sullo sfondo del Palazzo dell’Eliseo, l’ultima volta il mezzobusto di Marine Le Pen e quello di Emmanuel Macron, e subito dopo un istante di suspense appare il volto di chi ha vinto. Notaio, funzionario e prefetto sono la nostra triade euronapoleonica. Negli Stati Uniti, come stranoto, non si conta il voto popolare con metodo centralizzato, con il contorno di un facile gioco di proiezioni statistiche e l’esito in tempo reale, si contano i voti dei singoli stati che inviano una delegazione di grandi elettori nel Collegio elettorale. Sicché tutto è più lungo e complicato, c’è il numero magico di 270 da raggiungere per diventare presidente eletto, il dubbio sugli stati in cui i risultati, quando non ci sia una valanga per l’uno o per l’altro, sono in bilico, e infine c’è il ruolo di controllo e decisione sulla conta da parte dei giudici, a volte più cavallerescamente con Bush vs Gore nel 2000 e a volte più cupamente e minacciosamente come con Trump vs Biden or ora.
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