L'intervista della domenica
La nipote più piccola
Il passato e la storia, Hammamet, le versioni degli altri, l'odio e il feticismo, il sud, la nonna Anna, il potere del riordino, la famiglia. Conversazione con Vittoria Craxi
Pensate mai a come si è aperto il 2020? Ricordate cosa avevamo a cuore, speravamo, immaginavamo? I progetti, i calendari, le aspettative da tradire? Parlavamo moltissimo di Anni Ruggenti, cercavamo metafore, facevamo paralleli insostenibili, bilanci, proiezioni, ci chiedevamo se i Terrible Ten, i primi due decenni degli anni Zero, ce li saremmo lasciati alle spalle, insieme al loro vortice incredibile di sciagure, e se avremmo vissuto il primo di altri dieci anni formidabili, pieni di luci e ombre come i Venti del Novecento, e se poi sarebbe toccato anche a noi un ’29. Non immaginavamo che, invece, il crollo sarebbe arrivato prima, un mese dopo. Procediamo sempre per paragoni, che il futuro ci spaventi o no. Interroghiamo la storia quando i cicli in cui abbiamo suddiviso il tempo, arrivano a compimento. A gennaio del 2020, anche se non ce lo ricordiamo più, polemizzavamo moltissimo parlando del film di Gianni Amelio su Craxi, Hammamet, che uscì in sala il 9 del mese, pochi giorni prima del ventennale della sua morte, e ci sembrava essenziale stabilire una verità assoluta, un giudizio unanime che chiudesse il processo. Nelle settimane successive, uscirono libri su di lui e persino un suo inedito, un racconto giallo che aveva scritto negli ultimi mesi di vita in Tunisia. I giornali trascrivevano ricordi, riportavano voci di amici, figli, nipoti. Qualcuno scrisse che su Craxi era arrivato il momento di fare un grande romanzo, qualcosa di shakespeariano. Il dibattito era polarizzato come vent’anni fa, ma non infuocato: c'era una specie di indignazione coatta, un tic, affiancata però da una curiosità nuova, non tanto “per l’uomo”, come si dice in questi casi, quanto per la stagione politica. Poche settimane dopo, arrivò il covid. Chissà se la discussione su Craxi, il suo sogno di Grande Riforma, la sua cecità, i meriti, i demeriti, sarebbe continuata e in che modo. Il 2020 è stato anche l’anno della cancel culture e se pure in molti hanno scritto che in Italia non ci sono i presupposti culturali affinché attecchisca davvero, la statua di Indro Montanelli è stata imbrattata di nuovo quest’estate, di lui s’è parlato come non s’era parlato mai, anche se in un modo univoco, semplice: lo rimuoviamo o no? Su Craxi, forse, la domanda sarebbe stata diversa, più larga. Le amiche della sua nipote più piccola, Vittoria, che ha ventisette anni, le chiedono ancora di lui. Alcune hanno scritto tesi su di lui. Tutti vogliono da lei il Bettino segreto, quello inimmaginabile. Tutti, forse, cercano in lei le tracce di lui. Invece, Vittoria di suo nonno non ha quasi nulla, e questa è la traccia più importante: è stata cresciuta libera, in una famiglia che di libertà ne ha avuta tanta e poi, di colpo, pochissima. I giornalisti, invece, quando l’hanno contattata, soprattutto a gennaio, le hanno chiesto: ti vergogni di chiamarti Craxi?
Scusi tutti, è una domanda sciocca.
“Non è sciocca, è assurda, ed è diverso, ma capisco perché mi viene fatta. Di certo, non ricordo un giorno della mia vita in cui mi sia vergognata di essere chi sono, di dire come mi chiamo. Mi è capitato, invece, soprattutto quando ero più piccola, di temere le conseguenze di dire il mio cognome, perché mi è successo che qualcuno mi insultasse, ma soprattutto mi è successo che qualcuno mi avvicinasse per interesse, e non perché io possa aprire porte a chissà chi, ma perché esiste anche una specie di feticismo, ci sono alcuni fissati che pensano sia fico dire: sono amico della nipote di Craxi. Detto questo, io sono sempre felice di parlare con i giornalisti: in effetti, io sono sempre felice di parlare con chiunque. Mi piacciono le chiacchiere, mi piacciono le persone, mi piace amare ed essere amata. Mi dispiace che tutti si aspettino da me che io porti addosso delle ombre, che abbia un passato travagliato da raccontare, dei segreti che mi pesano sul cuore, una vita deviata da una presenza ingombrante. Io ho avuto e ho una vita serena, libera: Bettino Craxi era mio nonno”.
Il passato e la storia sono la stessa cosa?
No. E forse è per questo che quello che ha fatto mio nonno mi posso concedere il lusso di scoprirlo adesso, per una scelta precisa e anche perché ho una curiosità nuova, più matura: mi interessa capire perché il suo è stato un tempo irripetibile, perché mi risulta inimmaginabile che un presidente del Consiglio, oggi, abbia il coraggio di fare quello che fece lui a Sigonella, perché aveva così ragione su tante cose, prima fra tutte che l’Italia sarebbe stata svenduta. E questa è la storia, che cambia a seconda di chi la osserva, delle ragioni per cui la osserva, del tempo che è trascorso da quando un fatto è successo a quando si è deciso di analizzarlo. Su mio nonno tutti dicono quello che vogliono, spesso delle atrocità, altre volte del gran bene: è normale, fa parte della ricostruzione storica, fa parte del fatto che lui è nella storia. E poi c’è il passato, che è mio. In quel passato c’è un nonno affettuoso che ho conosciuto poco e che mi sarebbe piaciuto avere di fianco molto più a lungo, per amarlo e divertirmi con lui, e non per sapere chissà cosa, per prendere il suo testimone – a quello pensano mio padre Bobo e mia zia Stefania, io non mi permetterei, anche perché non mi interessa.
Perché crede che ci sia quest’attenzione su di lei e sui suoi cugini?
Forse perché tutti si aspettano che la storia si ripeta e che si ripetano anche le persone.
Cosa non la interessa?
La politica. E mi dispiace. So che è una lacuna. Me ne sono resa conto in questi mesi, soprattutto durante la quarantena: mi sono resa conto dell’importanza di avere una guida, e di quanto la qualità della guida dipenda dalla qualità politica di tutto il sistema che ad essa fa capo. Tuttavia, ho una diffidenza di fondo, forse incancellabile: per me i politici sono i responsabili della disgregazione, i cattivi, quelli che hanno distrutto l’armonia familiare.
Quando morì Bettino Craxi, Miriam Mafai scrisse: “Ha capito tutto, in anticipo. Ma la sua dismisura lo porterà alla rovina”.
Non sono in grado di dare un giudizio politico. Però di quella dismisura un ricordo privato lo ho: era un uomo molto disordinato. Gli chiedevo spesso se volesse una mano per sistemare la scrivania, perché lo vedevo affaticato, stanco, ricordo le sue gambe tagliate dal diabete, e la sola cosa che mi veniva in mente di fare per lui era fargli ordine intorno.
E sua nonna?
Nonna Anna è un portento. Una donna coltissima, in gamba, fiera, legata a casa sua, ad Hammamet – ora che è in Italia per via del covid temo soffra molto: in questo paese non si sente a suo agio. Non mi ha mai raccontato niente di troppo intimo della sua vita con mio nonno, e come lei anche tutti gli altri adulti di casa: quello che tutti mi raccontano sempre è il Craxi istituzionale, i viaggi, i compagni di partito, le sfide, le lotte. Mia nonna in particolare ricorda tutto: anche i menù dei pranzi con gli altri capi di Stato. È un’enciclopedia vivente di un tempo che noi fatichiamo anche a immaginare e che sono certa non tornerà più.
Ha paura di scoprire qualcosa di brutto sul passato di suo nonno?
A me del passato spaventa solo una cosa: che diventi una zavorra. Su questo discuto animatamente con mio padre, perché a volte lo vedo troppo legato a quello che abbiamo alle nostre spalle, ma appunto: è alle nostre spalle. Sono terrorizzata dal non riuscire ad andare avanti, dal bloccarsi nel passato. So che è possibile che accada e voglio fare di tutto per evitarlo.
Ma per suo padre, così come per sua zia, è importante fare di tutto per riabilitare la figura di Craxi: sono i suoi figli, in fondo possono farlo soltanto loro.
Lo capisco, certo. Loro hanno sofferto in un modo che io non posso capire. E so di essere stata fortunata. Se fossi nata prima, probabilmente non avrei avuto amici, non mi sarebbe stato così facile farmi scivolare addosso tutto. Però penso anche che per quanto ci possiamo impegnare, incontreremo sempre qualcuno che dirà che mio nonno è stato un ladro. Io non vado contro chi va contro mio nonno: ha diritto di esprimersi, punto e basta.
In Tunisia torna spesso?
Tutte le volte che posso. Spesso anche soltanto per il fine settimana. È la mia seconda casa, è un posto magico.
La riconoscono?
Ad Hammamet sì. Ma è più giusto dire che mi conoscono: io non sono una star, sono una che in quel paesino è stata bambina. Te l’ho detto: parlo con tutti, divento amica di tutti facilmente. È vero, nei bar ci sono le foto di mio nonno, dappertutto tutti sono legati a lui. Quando c’è stata la Primavera Araba, una delle poche case che non sono state colpite è stata quella di mia nonna, in giro sapevo che si diceva: non toccheremo mai niente del nostro Presidente. Ma non è per questo che mi conoscono: non c’è nessun divismo riflesso. Ho stabilito delle amicizie e le ho mantenute del tempo. Hammamet è un piccolo paese, ci si conosce tutti.
Da quanto non ci torna?
Da questa estate. Ed è la cosa che più mi manca. La Tunisia è un posto dove non funziona niente, ci sono guai ogni giorno, in casa e fuori casa, eppure quando sto lì non sono mai nervosa. La Tunisia è la ragione per la quale amo il sud, d’Italia e del mondo. Sono nata a Milano eppure non riesco a sentirla mia, ci ho anche trascorso molti anni perché ho fatto l’università lì, ma sono scappata via. Per me la vita è al sud. Ho amato solo ragazzi meridionali. La Tunisia cerco di metterla in tutto quello che faccio, da qualche mese ho lanciato una linea di abbigliamento in ecopelle insieme a una mia grande amica, Allegra, e ogni pezzo contiene un lembo di fouta, che è un tessuto tipico di lì e che anche nella mia casa di Roma cerco di piazzare dappertutto. È il mio segnale di riconoscimento.
Cosa vuole diventare, da grande?
Cosa ancora non lo so, e nemmeno mi importa molto. Credo che conti di più come voglio diventare.
Come?
Indipendente.
Il suo più grande amore?
Mio fratello. Vive in Spagna, è pieno di sogni, merita di realizzarli tutti. Ed è pieno di passioni.
E lei, che passioni ha?
Ne ho avute e ne ho tante, ma non ce n’è una che mi accenda in particolare. Questo è il mio peggior difetto.
Ha ancora tempo per trovarne, no?
Ho 27 anni, sono grande.
In Italia a 27 anni si è ancora bambini.
In Italia ci semplifichiamo molto la vita.