In vista del centenario della scissione di Livorno che diede vita al Pci cominciano a uscire saggi e articoli spesso assai interessanti, ma più perché fanno capire come sia stata registrata la vicenda del comunismo che come contributi a scrivere una storia di questo importante fenomeno politico. Vale per il saggio di Andrea Romano su quel che resta della tradizione comunista, per le testimonianze di militanti raccolte da Strisciarossa e per l’articolo di Ezio Mauro che rievoca la scissione di Livorno come la “dannazione della sinistra”. Si tratta di testi apprezzabili, talora capaci di illuminare qualche aspetto particolare dell’originalità dell’esperienza comunista in Italia. Quello che ancora manca è un’indagine storica approfondita che, tenendo conto dei documenti ora almeno parzialmente disponibili – dai verbali delle riunioni della direzione del Pci a quelli usciti dagli archivi sovietici – superi la visione tradizionale incentrata ancora sulle ricerche di Paolo Spriano e di Giorgio Galli, ambedue fortemente influenzate dall’autorappresentazione del Pci che tendeva ovviamente, almeno dalla fine degli anni 60, a sottolineare il proprio carattere nazionale.
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