Una notte di trattative parallele, prima del risveglio traumatico. Alle 10 di mattina, l'ipotesi dello strappo: la conta interna in Forza Italia per il voto in dissenso dal Cav. Poi prevale il pensiero del Quirinale. Ma i leader di Lega e FdI esigono lo scalpo di Brunetta e Gelmini
A un certo punto la rottura era stata perfino pianificata. Quando Matteo Salvini s'è confrontato con Antonio Tajani e Licia Ronzulli, all'alba di giovedì, nel suo studio a Montecitorio, l'ipotesi era sul tavolo. "Se dico ai miei di astenerci, sullo scostamento, voi che fate?". Magari è una provocazione, uno sfogo della rabbia accumulata. Sta di fatto che in quel momento un gruppo di deputati berlusconiani si è visto telefonare da Andrea Mandelli, che tra gli azzurri filoleghisti è uno dei colonnelli, alla Camera, e s'è sentito fare la domanda fatidica: "Sareste pronti a votare in dissenso dal gruppo?". Al che loro hanno sobbalzato, perché mezz'ora prima l'avevano ascoltato dalla viva voce del Cav., l'imperativo categorico: "Votiamo lo scostamento perché le nostre proposte sugli autonomi e le partite Iva sono state accolte dal governo". E quando Antonio Martino, deputato abruzzese che al richiamo del trucismo è invece assai allergico, aveva chiesto se l'ordine di scuderia prescindeva da ciò che avrebbero fatto Lega e Fratelli d'Italia, Silvio Berlusconi era stato netto: "Noi dobbiamo votare a favore, e speriamo che gli alleati ci seguano".
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