Tre libri per celebrare l’anniversario prossimo venturo. Ezio Mauro, Andrea Romano, Marcello Sorgi e Mario Pendinelli raccontano una storia che non si rassegna a finire imbalsamata nel museo della politica italiana
Cosa spinge tanti autorevoli intellettuali, politici e giornalisti, che nella maggior parte dei casi comunisti non sono stati mai, a tornare ciclicamente sulla storia del Partito comunista italiano, con un’attenzione e una passione non riservate a nessun’altra formazione politica? Non riservate, per esempio, al più antico Partito socialista, dal quale pure prese origine, né alla più grande Democrazia cristiana, che sulle vicende del nostro paese ha avuto un’influenza senza dubbio maggiore. Ecco la prima domanda cui bisognerebbe rispondere, in vista del centesimo anniversario del Pci, nato “Partito comunista d’Italia” (diciamolo subito per non doverlo ripetere noiosamente di qui in poi), con quella sigla un po’ ridicola, Pcd’I, forse perché, a differenza di Mark Zuckerberg alle prese con la creazione del suo “the facebook”, ad Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga nessuno suggerì al momento buono qualcosa di simile al celebre “drop the the”, vale a dire di buttare la “d”, o almeno l’apostrofo.
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