Così lontani, così vicini: Matteo Renzi e Luigi Di Maio. Eccoli, i due ex nemici, scriversi, parlarsi, consigliarsi, tessere trame nel Palazzo. In pubblico non si attaccano più da tempo, nonostante abbiano imbastito per anni la guerra dei due mondi. L’uno contro l’altro, speculari nel sottrarsi voti e piazze e sommarsi insulti e querele. L’elogio delle élite contro il populismo, il governo dei migliori alle prese con l’uno vale uno. Il giorno e la notte che adesso combaciano. E che da posizioni opposte spingono, a suon di smentite di rito, per il rimpasto. Per cingere ai fianchi così il premier Giuseppe Conte con la speranza di sussurrargli, al contrario di come usava urlare dire Beppe Grillo nei comizi, “arrenditi, sei circondato”. E quindi a volte va avanti l’uno e l’altro gioca di sponda, e viceversa. Per Di Maio, che del M5s è il Manovratore, il cambio di alleato porta con sé la continuità del nome: è passato in poco tempo da Matteo (Salvini) a Matteo (Renzi). Oplà. Ma l’eterogenesi dei fini continua a non bastare.
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