Salvare Mps o salvare il denaro dei contribuenti italiani? La domanda ricorrente si ripropone ancora una volta. L’uscita di scena di Jean-Pierre Mustier da Unicredit apre le porte all’integrazione con la banca di Siena, sempre rifiutata dall’amministratore delegato dimissionario e ora resa più probabile dal suo addio. Addio che arriva, guarda caso, con lo sbarco ai vertici della prima banca italiana di Pier Carlo Padoan, ex ministro dell’Economia, cioè colui che ha fatto comprare il 68 per cento delle quote di Mps, costato ai contribuenti 5,4 miliardi di euro. Una parte della politica (dal presidente della Regione Toscana Eugenio Giani al deputato Stefano Fassina) vorrebbe rinviare la vendita di Mps, temendo ripercussioni sul piano occupazionale, forse inevitabili. Dal Mef da settimane fanno sapere al Foglio che “bisogna decidere, non possiamo lasciare incancrenire la situazione”. Decidere come? E in quale direzione? Per ora si sa soltanto che Mps ha bisogno di un compratore ma che prima ha bisogno di una nuova ricapitalizzazione. E visto che siamo in un’epoca di prepotente ritorno dello Stato (meglio noto come Stato imprenditore), vale la pena tenere a mente la storia della banca senese negli ultimi vent’anni, che ci dice molto, se non tutto, sul rapporto malato fra finanza e politica (Stato compreso). E non solo perché questo rapporto ha consentito a Siena di vivere al di sopra dei propri mezzi a lungo.
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