Al Quirinale sono convinti che, senza l'avvocato del popolo, il grillismo non dà garanzie di tenuta. Franceschini impone la frenata su Renzi, Guerini scruta Zingaretti. E il Pd lascia solo Renzi. La crisi è rimandata. Ancora
Mentre gli eventi sembrano precipitare, il M5s, che l’ordine delle priorità ce l’ha sempre ben chiaro, per tutta la mattinata s’arrovella intorno al dilemma: “Chi deve andare al vertice con Giuseppe Conte?”. La formula ideata a Palazzo Chigi vorrebbe i capigruppo e il capo delegazione, e fin lì ci siamo; ma li vorrebbe insieme al capo politico. E qui sorge il dubbio. Perché Vito Crimi, a sentire gli umori della truppa, per essere un reggente a tempo ne ha già trascorso troppo, di tempo, a credersi capo politico. “Lo volete capire –ha spiegato ai deputati che gli sono più vicini il viceministro Stefano Buffagni – che Vito la sta tirando in lungo, la manfrina degli Stati generali, per potere essere lui a gestire il rimpasto?”. E’ bene che vada anche Luigi Di Maio, quindi. Ma a che titolo? Se all’incontro della verità va il ministro degli Esteri, s’impone come necessaria pure la presenza di Stefano Patuanelli, che gestisce anche il dossier incriminato del Recovery. E dunque, alle tre del pomeriggio, si trova l’accordo: tutti a Chigi per vedere Conte.
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