Un’economia desiderosa di scommettere sulla crescita dell'occupazione, sugli investimenti di lungo periodo, sulla produttività media di ciascun settore, più che usare il nome dell’ex governatore della Bce per disegnare incomprensibili traiettorie della politica dovrebbe fare uno sforzo in più: non evocare Draghi, ma limitarsi a leggerlo, e magari provare a capirlo
Lo spettacolo osceno della quasi crisi di governo proiettato ormai da giorni sugli schermi della nostra crisi pandemica – con i politici che da settimane discutono in modo spensierato di rimpasto, di verifica, di task force, curandosi poco di cosa significhi discutere di tutto questo con 800 morti al giorno – è improvvisamente entrato in quella che potremmo definire la famosa “fase Draghi”. Dal punto di vista politico, la “fase Draghi” è una fase in cui gli avversari dell’attuale presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, usano a vario titolo il nome dell’ex governatore della Bce per evocare una suggestione che grosso modo suona così: se un profilo come quello di Draghi fosse disposto a prendere la guida del governo, cosa che si augurano a vario titolo non solo Matteo Renzi ma anche Giancarlo Giorgetti, Gianni Letta e qualche pezzo da novanta del M5s, non ci vorrebbe molto a sostituire l’attuale maggioranza con una maggioranza più larga e con un premier diverso.
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