Roma. “La scuola è in emergenza da 200 giorni”, dice al Foglio Gabriele Toccafondi, ex sottosegretario all’Istruzione e deputato di Iv. Le scuole sono state chiuse 100 giorni durante la prima ondata, adesso si è fatto il bis con la seconda, “perché al governo eravamo troppo impegnati a comprare i banchi che poi non sono neanche stati utilizzati”. Alle politiche dell’istruzione, dice Toccafondi, “manca oggi una visione. La storia dei medici specializzandi, di cui vi siete occupati a lungo, è emblematica. Diciamo ‘viva i medici, sono i nostri eroi’, aumentiamo i contratti di formazione (anche se si poteva fare di più), poi però c’è un concorso e le procedure di assegnazione si bloccano per tre mesi, tra ricorsi, ordinanze del Tar, consigli di Stato. Una vicenda emblematica, appunto. Testimonia quanta strada si debba fare nel mondo dell’istruzione. Serve visione, progettualità. Se come paese non ci rendiamo conto di questa necessità, andiamo da poche parti”. Quindi, dice Toccafondi, “Renzi ha ragione nella sua lettera aperta a Conte quando dice che serve capacità di esecuzione per i 209 miliardi del Recovery Fund o per i 36 del Mes, se mai ci saranno. Un’occasione unica ma spero non rara, per impiegare risorse mai arrivate prima”. Quindi, “più che task force, commissari, consulenti qui serve la politica. Solo chi fa politica e chi ricopre ruoli istituzionali può dare un indirizzo di prospettiva”. Anche sulla scuola, spiega Toccafondi: “Siamo l’unico paese che ha chiuso tutta la scuola per 100 giorni da marzo a giugno. Otto milioni e mezzo di bambini e ragazzi, chiusi in casa ogni giorno davanti a uno schermo. Poi abbiamo chiuso la scuola in parte per altri 100 giorni da fine ottobre a, se va bene, metà gennaio. Però il ministero ha investito sui banchi, che siano a rotelle o no mi interessa poco: non li ha usati nessuno. Davvero qualcuno pensa che mettere ragazzi dai 13 ai 18 anni per tre mesi ogni giorno davanti a un video li faccia crescere? Questa generazione in futuro dovrà confrontarsi con problemi enormi. Avranno sulle spalle un debito impressionante. Noi come classe dirigente dovremo rispondere al fatto che siamo stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire le scuole. Abbiamo tolto a questi ragazzi la conoscenza. Chi pensa che stare di fronte a un video equivalga a fare scuola si sbaglia di grosso. Può esserlo da un punto di vista formale, ma i ragazzi stanno perdendo tutto o buona parte. Vale anche per gli insegnanti: un conto è avere davanti 20 volti, un conto 20 riquadratini. No, questo non è un percorso educativo. E la cosa che mi impressiona è che non se ne accorgono i politici o chi ricopre ruoli istituzionali. Se ne accorgono i ragazzi, che manifestano come possono insieme agli insegnanti, andando davanti alle scuole con i loro tablet a far lezione. Hanno colto bene il problema, a differenza nostra. Non avere una visione significa mettere in difficoltà questa generazione, significa scappare da molte delle nostre responsabilità. Ma avere una visione non significa solo e soltanto riaprire la scuola. Bisogna guardare non a domani ma a dopodomani. Anche alla scuola serve una visione. Non uso la parola ‘riforma’ perché chi ha provato a riformare la scuola non è mai stato molto fortunato”. Ci sono però alcuni temi dai quali vale la pena ripartire: “L’autonomia scolastica, che ha funzionato: dobbiamo fidarci di tanti bravissimi insegnanti e dirigenti scolastici, che rispondono ai singoli bisogni dei singoli territori e anche ai singoli ragazzi. Insieme a questo serve anche una scuola legata non solo alla conoscenza – con l’insegnamento di storia, italiano, matematica e geografia – ma anche alle competenze. Se abbiamo il 14 per cento degli abbandoni scolastici non è colpa dei ragazzi ma è nostra perché li respingiamo. Negli istituti tecnici e professionali il dato è anche peggiore. Poi servono alcune parole d’ordine che devono far rima con scuola: merito, qualità, valutazione selezione. Gli insegnanti devono essere preparati bene, con formazione adeguata. Ci devono essere concorsi e percorsi di valutazione, una parola che non deve far paura. Chi dice che i nostri insegnanti sono i peggio pagati di tutta Europa ha ragione. Tutte queste cose che sto dicendo sono temi di dibattito pubblico. Non dimentichiamoci che ci sono docenti che aprono la mattina alle 7 e poi lavorano fino alle 20 fuori da scuola e altri che con il suono della campanella hanno terminato”. Infine, dice Toccafondi, l’ultimo grande tema: “C’è bisogno di una riforma vera per le scuole professionali. Il 25 per cento dei ragazzi ne frequenta uno. Abbiamo un livello di abbandono scolastico non degno di un paese come nostro: nel biennio un ragazzo su 10 scappa, nel senso che lascia la scuola. Arriva fino all’età dell’obbligo scolastico, quando va bene, oppure scappa prima. In altri casi boccia, arriva a 16 anni e poi saluta tutti. Oppure non va proprio a scuola. Queste storie ci richiamano al fatto che ci sono talenti diversi, vocazioni diverse e che ci sono percorsi percorsi diversi. Senza per questo avere un’istruzione di serie A e istruzione di serie B. Chi frequenta un istituto professionale non può trovarsi al primo anno 14-15 materie e non mettere mai piede in un laboratorio. Perché altrimenti scapperà. Non facciamo lo scherzo ai ragazzi di far credere loro una cosa e fargliene fare un’altra; se si sentono traditi, scappano”.
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