A un certo punto, la chiacchierata che voleva provare a sprovincializzare la polemica in corso, rischia di diventare provincialissima. E allora Giampiero Massolo si ferma, come trattenendo un sospiro, e precisa: “Far dipendere i destini della politica italiana, o addirittura di singole figure della politica italiana, da un tweet d’elogio o da una telefonata arrivata in ritardo, credo sia un po’ eccessivo”. Lo dice, Massolo, per negare la validità di un sillogismo che parecchi, nei conciliaboli del Transatlantico di queste settimane, hanno proposto. Ché insomma se Giuseppe Conte deve la sua permanenza a Palazzo Chigi alla benedizione arrivata via social da Donald Trump nella tribolata estate del Papeete che vide il passaggio dal grilloleghismo al demogrillismo, ora che alla Casa Bianca è arrivato Joe Biden, il “very talented man” di Volturara Appula dovrebbe farsi da parte. “No, non mi pare che la si possa mettere in questi termini”, obietta Massolo, presidente dell’Ispi e di Fincantieri, che alle relazioni diplomatiche italiane ha sovrinteso per un paio di decenni buoni, con ruoli di vertice nelle strutture di Palazzo Chigi e della Farnesina, attraversando tetragono il trapasso tra Prima e Seconda Repubblica. Giulio Andreotti lo volle con sé tra i suoi consiglieri quand’era premier, e Berlusconi se ne ricordò dopo la sua discesa in campo. Fu poi il centrosinistra a nominarlo segretario generale degli Esteri. Francesco Cossiga, dicono, lo chiamava il “fascio-comunista”, per la sua capacità di essere trasversale, di farsi apprezzare e di saper collaborare con chi andasse al governo. E forse è anche per questo che Massolo, nato nel 1954 a Varsavia, diplomatico prima alla Santa Sede e poi a Mosca e quindi presso l’Unione Europea, è stato tirato in ballo alla vigilia della formazione di più di un esecutivo da molti anni a questa parte. Di certo è uno che insomma di rapporti internazionali e intrighi transatlantici ne avrebbe da raccontare, e non solo in virtù dei suoi attuali incarichi. “A Washington guardano da sempre agli sviluppi della politica interna italiana, che ha dinamiche tutte sue”, spiega. “Ma soprattutto hanno una preoccupazione: quella di avere nell’Italia un alleato stabile e affidabile. E dunque, più che dalle simpatie personali che pure contano, i governi e i presidenti del Consiglio vengono misurati proprio sulla base della garanzia di affidabilità che offrono”.
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