Il Bonus idrico non è una boutade
Per la presidente della commissione Ambiente della Camera il sostegno al cambio dei rubinetti rientra a pieno titolo in una visione ampia della sostenibilità e del risparmio delle materie prime
Al direttore – Nelle ultime ore si è fatta molta ironia, in alcuni casi anche polemica e in altri informazione superficiale, sull’approvazione dell’emendamento del Pd che istituisce il bonus idrico. Si tratta di un sostegno fino a 1.000 euro per ogni richiedente che potrà essere utilizzato per installare nuovi dispositivi in grado di contribuire al risparmio dell’acqua. In questo senso, infatti, è stato istituito dal ministero dell’Ambiente un fondo (“Fondo per il risparmio di risorse idriche”) pari a 20 milioni di euro. La cifra messa a disposizione potrà essere impiegata per cambiare sanitari e applicare nuove tecnologie che consentono una limitazione del flusso dell’acqua. Fra le spese possibili vi sono anche quelle che riguardano le opere idrauliche e di muratura collegate e gli interventi di smontaggio dei vecchi dispositivi. Lo scopo è naturalmente quello di incoraggiare i cittadini a rinnovare tutto il sistema idraulico delle proprie abitazioni.
L’introduzione del bonus risponde anche ad altre due esigenze: abbassare il costo delle bollette e sostenere le aziende operanti nel settore, ridando slancio e impulso a tutta la filiera. Sorprende dunque che a criticare questo incentivo siano proprio alcuni di coloro che sostengono invece la necessità di prorogare il superbonus al 110 per cento per l’efficientamento energetico. Il bonus idrico, infatti, rientra a pieno titolo in una visione ampia della sostenibilità e del risparmio delle materie prime e proprio insieme all’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare ne è l’altro indispensabile tassello. In particolare, il tema del risparmio idrico non è, purtroppo, una boutade. Basta sfogliare, per rendersene conto, il rapporto della Camera dei deputati “L’agenda globale per lo sviluppo sostenibile” che fa il punto sui risultati ottenuti dal nostro paese in relazione agli obiettivi dell’agenda globale per lo sviluppo sostenibile. Il rapporto rileva che “l’Italia detiene il primato europeo del prelievo di acqua per uso potabile in termini assoluti da corpi idrici superficiali e sotterranei, con valori tra i più elevati anche in termini pro capite. Poco meno della metà del volume di acqua prelevata alla fonte (47,9 per cento) non raggiunge gli utenti finali a causa delle dispersioni idriche dalle reti di adduzione e distribuzione”. In un paese dove lo spreco d’acqua è un tema reale, dove una famiglia tipo di tre componenti spende oltre 400 euro all’anno per il servizio idrico integrato, 175 euro in più di dieci anni fa, il tema della riqualificazione delle infrastrutture idriche e dei sistemi idraulici non può essere derubricato a “mancetta”. Soprattutto quando il 30 per cento di questo consumo è relativo all’uso di vasi sanitari, il restante è condizionato dalla rubinetteria utilizzata. In questo senso, la tecnologia può aiutare molto. I vasi sanitari e la rubinetteria esistenti in Italia, spesso, presentano bassi livelli di efficienza perché datati: solo il 51 per cento dei vasi è stato posato dopo il 1990, il 17 per cento risale addirittura a prima del 1970. Si tratta di attrezzature inefficienti sotto il profilo del consumo idrico, con performance gravemente inferiori rispetto a quelle di prodotti più innovativi. Ipotizzando un risparmio idrico medio del 50 per cento, intervenendo ogni anno sul 5 per cento del parco attrezzature sanitarie installate in cinque anni si potrebbe risparmiare più di 1 miliardo di euro tra utenze residenziali e non. Ecco, forse farà sorridere pensare a un bonus per far cambiare il rubinetto e lo sciacquone di casa, ma io invece sono assolutamente convinta che sia sempre meglio fare un passo in avanti, anche se piccolo (so benissimo che i soldi sono pochi), anziché fermarsi a discutere sull’optimum immaginabile.
Alessia Rotta
presidente commissione Ambiente,
Camera dei Deputati