da washington a roma

La crisi americana si mischia a quella italiana. Renzi: "Da Conte esigiamo un chiarimento"

Lo sfogo del leader di Italia viva coi suoi parlamentari: "Ora capite perché la delega ai servizi è un fatto di sicurezza nazionale, e non di poltrone". All'origine di tutto c'è la visita di Barr a Roma nel 2019

Valerio Valentini

Le polemiche per la timidezza con cui il premier ha condannato l'atteggiamento di The Donald non sono solo una questione di stile. Per il leader di Italia viva c'è di mezzo il rapporto tra Giuseppi e il suo protettore. "Serve un confronto. Anche il Recovery passa in secondo piano"

E' una questione di stile, certo. E infatti perfino Andrea Orlando, il vicesegretario del Pd che pure sconsiglia colpi di testa, interpellato sul tema non si sottrae: "Fossi stato in Conte avrei detto qualcosa in più". E allora figurarsi se dalle parti di Italia viva non ne approfittano, del tweet assai timido del presidente del Consiglio a proposito dell'assalto delle milizie trumpiane al Campidoglio, per rinnovare la polemica. Ecco allora Luciano Nobili che, in modalità panzer, lancia il suo strale contro Palazzo Chigi, paragonando la nettezza di toni di Angela Merkel con la timidezza dell'"avvocato del popolo".  "La Merkel deplora il comportamento di Donald Trump. E noi? C’è qualcuno a Palazzo Chigi? Quando arriva la condanna di Giuseppe Conte? Il suo portavoce è ancora al telefono coi “responsabili” o può occuparsene? Grazie", scrive il deputato di Iv.

 

Ma che non sia solo una questione di stile, lo dimostra lo stesso Matteo Renzi. Il quale, coi parlamentari che lo interpellano per concordare la linea, si mostra assai preoccupato. "Ora capite che l'insistenza con ci chiediamo a Conte di chiedere la delega ai servizi non è una questione di poltrone, ma è una questione di sicurezza nazionale?". Il non detto di Renzi è un qualcosa che anche in buona parte del Pd si sussurra: e cioè che il problema di Conte stai nella sua incapacità di avanzare la benché minima critica a Trump, anche quando i fatti lo esigerebbero. "Incapacità o impossibilità?", mugugnano in Italia viva. Ed ecco risalire alla memoria il mancato invio degli auguri a Joe Biden all'indomani della sua vittoria elettorale di novembre, salvo poi frettoloso (e un po' scomposto) riposizionamento. Ed ecco il ritardo con cui Conte è riuscito a parlare col presidente eletto democratico rispetto ai suoi omologhi europei.

 

  

Tutte stranezze che, a giudizio di Renzi, trovano la loro origine in un altro episodio. "Un episodio controverso e mai davvero chiarito, anche perché per chiarirlo servirebbe appunto una gestione più trasparente dell'intelligence", dice il senatore di Scandicci coi suoi confidenti in queste ore. E il riferimento è alle visite che l'allora ministro della Giustizia americano, William Barr, fece a Roma a metà agosto del 2019, e poi ancora a metà settembre dello stesso anno. Proprio nelle settimane calde della crisi del Papeete, che poi portarono alla nascita del governo rossogiallo. Due missioni condotte da Barr per avere informazioni a proposito del presunto coinvolgimento dei servizi italiani sul cosiddetto "Russiagate", il complotto che, stando alla propaganda trumpiana, l'intelligence di mezzo Occidente avrebbero ordito ai danni del tycoon newyorkese per infangarne la vittoria elettorale. Un teorema poi rivelatosi infondato, ma su cui evidentemente Barr cercava degli indizi, delle prove, e li cercava a Roma anche in virtù della presenza della spia russa Joseph Mifsud nell'università Link Campus, guidata dall'ex ministro Dc Vincenzo Scotti. Una vicenda al confine tra il torbido e il grottesco, in cui però, a giudizio di Renzi, s'incastra un episodio preoccupante: e cioè che Conte avrebbe agevolato l'incontro tra un esponente del governo americano col capo del Dis, quel Gennaro Vecchione che del premier è uomo fidatissimo e che di fatto guida i nostri servizi segreti. "Le intelligence è giusto che si parlino, tra loro, specie tra paesi alleati e amici. Ma che un ministro straniero si consulti direttamente coi vertici dei servizi di un altro paese, questo è assai meno comprensibile", dice l'ex premier. 

 

E dunque, ecco che ora la vicenda riemerge. Vuoi perché dalle parti di Italia viva hanno tutto l'interesse ad alzare la tensione in questa crisi strisciante che vede Conte sulla graticola. Vuoi perché proprio ieri, proprio poche ore prima che su Capitol Hill infuriasse la barbarie dei "proud boys" trumpiani, dall'America è tornata a circolare con forza, nella bolla dei cospirazionisti fedeli a The Donald, l'ipotesi di un coinvolgimento dell'intelligence italiana nelle trame contro il presidente uscente. Coincidenze? Può darsi. Ma a qualcuno, nell'inner circle renziano, queste coincidenze suggeriscono un sospetto: e cioè che nella furia distruttiva degli ultimi giorni di Trump alla Casa Bianca, in questa transizione convulsa e violenta, il tycoon possa tornare ad agitare contro l'Italia spettri e fantasmi. Gli stessi che spingerebbero, sempre secondo le ricostruzioni di chi ha parlato con Renzi in queste ore, il presidente del Consiglio a utilizzare la massima cautela nel condannare gli atteggiamenti eversivi di Trump. 

 

Di certo che la vicenda avrà ricadute politiche. Perché, proprio nelle ore in cui dovrebbe definirsi un'intesa tra le forze di maggioranza sulla nuova bozza del Recovery, Renzi cambia l'ordine delle priorità dell'agenda politica. "Questa vicenda dei servizi merita l'attenzione massima. Finché non ci sarà un chiarimento, non sarà possibile stringere alcun accordo sul Recovery. Ne va - conclude - della sicurezza nazionale"

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.