Il professore di tutti
Mi manda Cassese. Un ritratto dell'ex ministro
Non c'è uomo di governo o superburocrate che non si avvolga delle sue lezioni di diritto. Ha 85 anni e un esercito di discepoli. I suoi interventi: un rosso e blu per cerchiare ogni inciampo
“Come dice Cassese …”. Non fidatevi di chi lo cita. E’ l’italiano che crede nella parola e che non sopporta chi non si fa capire. Non ama chi lo loda ma preferisce chi lo legge. Non scrive per vanità ma perché rimane un insegnante: “Ogni intervista è per me una lezione. Posso darvi un consiglio? Siate sempre malfidati”. Non ha mai scritto poesie. Non ha romanzi nel cassetto. Possiede diciottomila volumi catalogati da lui stesso. Ha sempre una matita vicino. Anche a letto.
E’ vero che c’è un’attività in cui si fa vanto e in cui si crede imbattibile: il correttore di bozze. “Io trovo l’errore. Sono bravissimo. Mi vuole mandare il suo testo?”. L’uomo più autorevole d’Italia non si servirebbe mai dell’aggettivo autorevole. La carne del diritto, il docente, l’ex giudice della Corte Costituzionale, l’ex ministro della Funzione pubblica del governo Ciampi, ha 85 anni e al polso porta un Apple Watch di ultima generazione. Periodicamente esegue il backup del suo telefono. Ha un Iphone 10 che ritiene superato. Riesce a scannerizzare documenti e trasformarli in formato pdf. “Sono un uomo del mio tempo. Un contemporaneo. Per chi mi avete preso?”.
Non esiste leader che non si sia nascosto dietro alla sua sapienza, parlamentare che non abbia agitato uno dei suoi dotti editoriali, allievo che non abbia rivendicato il suo insegnamento, contenzioso che non abbia meritato un suo saggio giudizio, riforma pubblica che non sia stata scrutata dalle sue lenti. Sabino Cassese è l’emerito. Servendosi di dati, che archivia in piccole cartelline di plastica, ha smontato i dpcm del governo, la cabina di regia del Recovery Fund, le riunioni notturne del consiglio dei ministri, l’eccessivo prolungamento dello stato d’emergenza, spiegato perché Giuseppe Conte deve rinunciare alla delega sui servizi segreti. Viene cercato costantemente dai quotidiani, dalle televisioni che sperano di trovare in lui il blasone che a loro manca, la formula Cassese. “Non sono interessati a me ma alla verità del momento”. Accetta di rispondere a domande che vuole prima conoscere e la condizione è che i suoi pensieri non vengano manomessi e neppure l’ordine alterato. “Quando si comunica si deve sempre pensare a quello che si suscita e non solo dove si suscita”.
Non hai mai discriminato tribune, fogli, partiti: “E perché dovrei farlo? Va contro quello che ripeto da una vita”. La più grande stupidaggine che si possa dire di Cassese è che sia l’anti-Conte. “Non critico Conte ma l’azione del governo Conte. E’ una cosa ben diversa”. Cassese è il rosso e il blu che cerchia l’inciampo, la carezza che ammonisce, l’uomo frena. E’ l’accademico più tradotto all’estero: Francia, Germania, Usa. I suoi interventi giuridici sono letti all’università di Heidelberg. Viene invitato a Yale, la facoltà-basilica di tutti i filosofi di legge. Per il mondo è la giurisprudenza tricolore così come Giovanni Sartori era la politologia, Enrico Fermi la fisica, Umberto Eco il Medioevo. Chi non si sentirebbe schiacciato?
Alla conferenza di fine anno, quando un giornalista del Corriere della Sera ha iniziato a recitare un suo editoriale, il premier l’ha immediatamente interrotto: “Faccio i miei auguri. Passiamo alla prossima domanda”. Non appena viene pronunciata la frase “come ha scritto Cassese…”, Conte arrossisce. Pochi lo sanno ma anche l’avvocato del popolo è stato un allievo del professore di tutti. Si racconta che abbia dato un esame insieme a lui. Sarebbe stato dunque uno dei cognomi inseriti nelle batterie che Cassese si era inventato per facilitare i colloqui: “Siamo amministrativi, offriamo un servizio”. Per eliminare uno dei guasti dell’accademia, per fare in modo che i suoi studenti non rimanessero dietro la porta ad attendere, Cassese li convocava suddividendoli in gruppi di mezz’ora. Mezz’ora è stata sempre la sua unità di tempo. C’è un oggetto feticcio presente sulla sua scrivania.
E’ un orologio da tavolo che gli è stato regalato, un Dalvey Sedan clock. Alla guida della Funzione Pubblica aveva proposto di prolungare l’orario degli uffici fino a sera, di tagliare la retribuzione dei dipendenti che si assentavano, combattuto per smascherare la pausa del “dottore fuori stanza”, cercato di abolire il precariato, eliminare le leggi inutili: “Ma lo sapete che esiste ancora un articolo del codice che definisce il mestiere del ciarlatano?”. E’ un’idea di Cassese la prima carta dei servizi pubblici. Paolo Savona, anche lui ministro del governo Ciampi, e non ancora un riferimento degli spettinati, gli aveva detto: “Caro Sabino, dammi la testa di uno statale e cambieremo il mondo”. Cassese non ha mai “tagliato teste”, utilizzato la parola fannulloni.
Sono passati troppo anni ma è merito di Cassese, e del cognato, Tullio De Mauro, scomparso, se la burocrazia è un po’ meno spagnoleggiante rispetto ai rimproveri di Italo Calvino. Insieme avevano promosso un Codice di stile per le amministrazioni pubbliche e allegato un dizionarietto di base della lingua italiana. La sorella di Cassese è stata la prima moglie del linguista: capoufficio stampa degli Editori Riuniti. Si chiamava Annamaria. Il fratello era invece Antonio, anche lui giurista, docente a Firenze, presidente del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura, del Tribunale penale internazionale per la Ex-Jugoslavia, del Tribunale speciale per il Libano. Ha contribuito a creare i primi codici di diritto penale internazionale.
I Cassese sono irpini, di Atripalda. Il padre Leopoldo era il direttore dell’archivio statale di Salerno e de L’Aquila. Ha insegnato archivistica all’università di Napoli e Roma. Ha studiato i movimenti contadini, si è formato sui libri di Benedetto Croce. La madre dei Cassese, Bianca Castellucci, è stata invece insegnante di Lettere nei licei. E’ nata a Volturara Appula, il paese di Conte. Era figlia di un maestro elementare che decise di trasferirsi a Napoli per permetterle di frequentare l’università. I Cassese-Castelucci sono la famiglia scaffale, il lume e la carta. “Sono cresciuto in una casa di libri”. Il primo che ha letto è un racconto per ragazzi: “La telegrafica misteriosa” di Aldo Franco Pessina. Agli studenti del suo corso ha sempre offerto un elenco di letture. Thomas Mann (“La Montagna Incantata”), Ernest Renan (“Ricordi di Infanzia e gioventù), Denis Diderot (“Conversazione di un padre con i suoi figli), Borges (“Il giardino dei sentieri che si biforcano”).
A 18 anni, prima di entrare all’università, aveva finito di leggere “Nota su Machiavelli” di Antonio Gramsci. Si è diplomato un anno prima, a 17, perché i genitori desideravano che i fratelli studiassero insieme. Li separava un anno. Cassese è un “normalista”. E’ diventato Cassese per titoli. Ha superato la selezione per accedere alla Normale di Pisa. Uno dei docenti era Aldo Capitini. Il presidente della sua commissione di concorso Delio Cantimori. Il suo maestro è stato Massimo Severo Giannini, capo di gabinetto di Pietro Nenni, ordinario a 24 anni. I lavori preparatori della Costituente si devono a lui. C’è sicuramente Giannini nella prosa scientifica di Cassese e non solo perché è stato l’assistente volontario di Giannini. Si tratta della prosecuzione di metodo, di un lessico speciale, perfetto, quasi logico, il conversare asciutto.
Secondo Giacinto della Cananea, allievo di Cassese, la forza di Cassese è la sua chiarezza complessa: “Studiate i suoi articoli. Vi accorgerete che cominciano tutti con espressioni come ‘partiamo dai fatti’. Si predilige l’enumerazione. Ha sempre evitato l’opacità. Spero un giorno di riuscire a scrivere come lui”. Dal 1953, ogni anno, fino alla laurea, Giannini ha affidato a Cassese tesi di argomento storico: la carta del lavoro, il corporativismo fascista. E’ di Cassese la biografia e la voce sulla Treccani di Giuseppe Bottai, gerarca, giornalista, futurista, fondatore dei Fasci di combattimento. Cassese si è mantenuto agli studi traducendo. Il primo lavoro “lautamente pagato” gli è stato affidato da Laterza. Era un lungo articolo in inglese sulla storia del Credit Mobilier francese contenuto nell’Antologia storica di Armando Saitta.
E’ stato sempre Giannini a segnalarlo all’economista Giorgio Fuà, consigliere di Enrico Mattei. Cercava giovani laureati e Giannini gli disse: “C’è un bravo ragazzetto che promette bene”. Era Cassese. Aveva 25 anni. Venne assunto all’Eni come borsista con il compito di preparare un saggio sull’impresa pubblica che alla fine non è stato mai pubblicato. C’è un libro di Cassese che sarà presto in libreria per Solferino dal titolo “Una volta il futuro era migliore”. E’ una frase che riprende il motto celebre di Paul Valery: “Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”. E’ un testo sulle opportunità.
A meno di trent’anni, Cassese era già capo dell’ufficio legislativo dell’Eni di Mattei, “uomo di infinita seduzione”. Ha avuto un solo matrimonio, che continua. E’ sposato con Rita Perez anche lei assistente volontaria di Giannini, laureata in diritto amministrativo conosciuta in cattedra e che ha lavorato all’ufficio legale dell’Istituto Luce. Ogni giorno, naturalmente per “mezz’ora”, dopo pranzo, passeggiano insieme. Esiste qualcosa che è meno di un’intervista ma qualcosa di più. Un piccolo gioco fra coniugi inseparabili. Dice sempre Della Cananea: “Ho sempre provato verso Sabino e Rita una affettuosissima invidia”. In una trasmissione satellitare, introvabile, la signora Cassese ha promesso che in caso di fuga di Sabino lei non scriverà al professore. “Gli ho sempre detto: quando te ne andrai, dirò che sei uscito per comprare le sigarette e nessuno ti ha più visto”.
Cassese non fuma o almeno lo ha fatto “ma per breve periodo”. Mangia “passati di verdure”. Ha tirato di scherma, fioretto. Non è credente ma un attento lettore della Bibbia. Il suo mare è quello di Ansedonia. La sua casa di Roma ai Parioli. Guida l’automobile. Ha da poco rinnovato la patente. I libri che rilegge sono l’Eneide, i Promessi Sposi. Ha una figlia che lavora a Bankitalia, un figlio che vive a Berlino e che ha collaborato con Pier Luigi Celli (“Ma non l’ho presentato io. So sono conosciuti da soli”) e che oggi è consulente di Netflix. Cassese ascolta, “sul pc”, Im wunderschœnen Monat Mai di Shumann, canticchia Violino tzigano di Bixio Cherubini: “Suona suona per me o violino tzigano/ forse pensi anche tu a un amore laggiù sotto un cielo lontano”.
Chi sono stati i suoi amici? Luigi Spaventa, Stefano Rodotà, Giorgio Ruffolo, De Mauro. Negli anni settanta si incontravano ogni settimana a casa di Spaventa. Da accademici si erano inventati un’anti accademia. Sceglievano un libro e lo processavano con tanto di verbale della seduta. “Successivamente Spaventa riuscì a farsi assegnare una stanza dal Partito Radicale. Per un periodo ci siamo incontrati a via di Torre Argentina. Era una parodia dell’università”. A differenza di Rodotà e De Mauro, Cassese non ha mai accettato una candidatura politica che pure gli era stata offerto dal Pci, come indipendente. “Ho sempre pensato che sarebbe stato un tradimento come quello descritto dal francese Julian Benda nel suo La Trahison des Clercs”.
Negli anni Ottanta, dopo l’uccisione di Roberto Ruffilli gli è stata assegnata la scorta perché era finito nelle liste dalle Brigate Rosse e Della Cananea ricorda che ne aveva disagio: “Non voleva quasi farsi vedere, esibire gli agenti”. Un altro passaggio difficile dicono lo abbia attraversato negli anni in cui da giudice della Consulta è stato chiamato a decidere sui lodi berlusconiani. Nel suo libro “Dentro la Corte” (Il Mulino), diario di quella sua esperienza, ha scritto che “le cariche pubbliche non si sollecitano, ma se offerte non si rifiutano”. Ogni sette anni il nome di Cassese entra nella lista dei quirinabili. Con un suo editoriale, pubblicato sul Corriere della Sera (“Grillo sceglie il suo idraulico con il sorteggio?”), ha scosso perfino il fondatore del M5s che per una volta, almeno, ha provato ad argomentare con garbo.
Matteo Salvini ritaglia i suoi articoli e le sue interviste e li riposta sui social. Romano Prodi lo ha candidato alla guida della cabina di regia per il Recovery: “Conte chiami un Mario Draghi o un Sabino Cassese”. Sono tutte citazioni ma che Cassese non cataloga. Ogni volta che finisce di leggere un libro, Cassese raccoglie tutti gli appunti a margine, le note, e li trascrive nei suoi commonplace book. Sono zibaldoni, sul modello di quelli di Thomas Jefferson, classificati per nazioni: “Letteratura francese, inglese, tedesca, americana”. Non chiamatelo protagonista. “Non lo sono”. Non usate l’iterazione. “I lettori non la apprezzano”. Cassese non avrebbe mai scritto un ritratto su Cassese. Di certo non lo avrebbe mai scritto così. “E’ un errore. Non divertitevi troppo”. E’ suo il sorriso più tenero e beffardo della repubblica.