I vaccini e le siringhe, e prima i banchi, i tamponi, Immuni, l’Ilva. Vita, relazioni e opere del commissario di tante crisi italiane, dalla Prima alla Terza Repubblica. Colui che tutto può e qualcosa, con arroganza compiaciuta, risolve. Fenomenologia di Domenico Arcuri
L’ultima rogna son queste benedette siringhe, troppo grandi o troppo piccole, e prima di questa i banchi, i tamponi, Immuni, l’Ilva. Che palle. Domenico Arcuri, o come dicevan tutti Arcuri, tiene il peso dell’Italia su di sé. E si annoia. Si annoia mortalmente. Mentre sbuffa minaccioso nelle conferenze stampa con sprezzo post-dalemiano e occhioni da Stregatto, Arcuri, commissario a tutto, si annoia con niente. E’ troppo intelligente. Non ce lo meritiamo. Non c’è gusto in Italia a essere Arcuri. Dai banchi alle mascherine, è più di un funzionario, più di un tecnico. E’ un personaggio. E’ pura cultura pop. Non gli hanno ancora dedicato una serie Netflix ma è entrato talmente nell’immaginario come uomo che risolve (o almeno tenta di risolvere) i problemi che, durante i disordini americani degli scorsi giorni, col Campidoglio invaso dalle masse cornute e pelose, subito è arrivata la battuta: “Avranno già chiamato Arcuri?”.
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