Da Trump, con la sua destra vichinga, alla destra italiana: il dizionario del populismo, nel dare risposte semplici a problemi complessi, contribuisce a offrire al popolo delle parole che diventano leve per compiere azioni eversive
Mettiamo per un attimo da parte il tema della crisi di governo, che in un modo o in un altro si risolverà nelle prossime ventiquattro ore, e torniamo per un istante alle incredibili immagini del Congresso americano, occupato dalla furia della destra vichinga. Quelle immagini hanno contribuito a tirar fuori dai nostri cassetti un numero indefinito di emozioni e di preoccupazioni che ci hanno indotto a riflettere su una moltitudine di temi importanti. Ci hanno portato a ragionare sui confini della democrazia, ci hanno portato a ragionare sui confini dell’autoritarismo, ci hanno portato a ragionare sui confini del fascismo, ci hanno portato a ragionare sui confini delle destre, ci hanno portato a ragionare sui confini del populismo, ci hanno portato a ragionare sui confini del nazionalismo, ci hanno portato a riflettere sui confini dei social ma ci hanno distratto forse da quello che è il tema più importante e che riguarda la base della comunicazione politica: l’uso delle parole. Il parolismo – inteso come un uso disinvolto dello strumento delle parole, dove per disinvolto si intende utilizzato senza tenere conto delle conseguenze di alcune parole – è una delle eredità peggiori del populismo.
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