Da quando il Consiglio europeo ha approvato le linee essenziali del Next Generation EU, è stato chiaro a tutti che a finanziare una parte molto consistente delle risorse necessarie per realizzare gli investimenti pubblici, e sostenere – così – la domanda interna, sarebbe stato il Recovery Fund. E’ stato ugualmente chiaro a tutti che, per poter attingere al Recovery Fund, lo Stato avrebbe dovuto spendere di più e soprattutto molto meglio, per due motivi. Innanzitutto, perché per attingervi non basta presentare progetti credibili, ma occorre dimostrare di aver rispettato le varie fasi della loro realizzazione, mentre finora la nostra capacità di impegnare le spese e di effettuarle è inferiore rispetto sia ai principali partner, sia ai paesi più piccoli, i quali da tempo hanno mostrato di saper utilizzare al meglio i fondi europei, come l’Irlanda. Inoltre, perché il Recovery fund erogherà risorse finanziarie per vari anni: il 70 per cento quest’anno e quello prossimo, il restante 30 per cento entro la fine del 2023, ma con pagamenti che potranno essere effettuati entro i successivi tre anni. Ne derivano tre necessità: provvedere presto e bene all’elaborazione del piano nazionale di ripresa e resilienza; discuterlo con tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, dal momento che la sua attuazione richiede scelte che condizioneranno i bilanci dei prossimi anni, oltre la fine dell’attuale legislatura; predisporre tempestivamente le misure organizzative, i procedimenti e i controlli necessari per assicurare il buon successo dell’attuazione. Vediamo come sono andate le cose.
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