Ripercorrere la vita di Emanuele Macaluso significa ripercorrere l’intera storia della sinistra e dell’Italia repubblicana, e per chiunque si sia mai minimamente interessato all’una o all’altra, anche fare un lungo giro tra gli scaffali della propria libreria. Perché Macaluso, oltre che importante dirigente sindacale (nella Cgil), uomo politico (nel Pci) e giornalista (anzitutto all’Unità, di cui è stato direttore, e più tardi anche al Riformista), è stato prima di tutto un intellettuale e un formidabile polemista. Forse per lui si potrebbe riprendere quella definizione di “giornalismo integrale” usata da Antonio Gramsci. Certo è che pochi hanno concepito e praticato la lotta politica come battaglia culturale in modo più coerente, inflessibile e infaticabile di quanto abbia fatto lui, fino all’ultimo momento della sua vita. O perlomeno fino al penultimo, a giudicare dalle più recenti interviste in cui spiegava la decisione di abbandonare l’appuntamento pressoché quotidiano con la scrittura – per la seconda volta, in verità – dinanzi a un dibattito pubblico che gli appariva ormai privo di senso.
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