Mentre parla al Senato, in un silenzio teso, sotto lo sguardo insonne di Giuseppe Conte, Matteo Renzi si tiene su con gli spilli di un rischioso equilibrio. Non apre, ma nemmeno chiude. E infatti a Conte rinfaccia Trump e Salvini, Casalino e le gaffe su Facebook, le profferte di posti di governo. Poi però guarda il premier e aggiunge, incoraggiante: “Faccia un passo in più”. Dunque attacca (“questo non è il governo più bello del mondo”), ma pure esorta (“da mesi chiediamo una svolta, presidente. Ora o mai più”). Governato da un fluido che è la sorte pura, l’azzardo, Renzi tenta di spremere l’occasione insperata. Circondato da vibrazioni ostili nel Pd, sempre più solo anche tra i suoi parlamentari terrorizzati dall’incognito, gioca l’ultima fiche. E mentre ancora non conosce l’esito del voto di fiducia — poi raccolto da Conte — punta su tutti i cavalli, su tutte le ipotesi, tutte insieme. Senza escludere niente, senza precludersi una strada, quale che sia: la caduta del governo, una fiducia precaria, un Conte ter. Al punto, martedì, di aver deciso di votare in Senato solo alla seconda chiama. Dopo aver visto i voti degli altri. Per tenersi aperta, fino all’ultimo istante, la possibilità di colpire. La vita politica è una faccenda interstiziale, per lui, da sempre, si sa: bisogna saltare sull’attimo fuggente. Ma forse, stavolta, Renzi, cioè l’uomo di cui a suo tempo fu anche decantata la fortuna, ha finito i soldi per le puntate.
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