Aveva predilezioni semplici, l’edicola, il caffè, ristoranti o osterie, ma era un uomo di mondo. Aveva amato il potere come pratica e come teoria all’ombra del togliattismo. Era un antieroe, e uno stupendo amico
Un uomo che ha raccontato in mille modi la storia che ha fatto e che l’ha fatto non ha specialmente bisogno di ripetizioni in morte. Emanuele Macaluso (1924-2021) era un camminatore. Per anni lo si incontrava e lo si ammirava nei dintorni romani, a Testaccio dove viveva e da dove partiva, lungo il Tevere. Era di bassa statura, antico e bello, dritto come un fuso a novant’anni, vestito in sobrietà come un lord emerso da una solfatara. Aveva predilezioni semplici, l’edicola, il caffè, quello e solo quello, ristoranti o osterie. Sembrava solitario, come tutti i camminatori, ma non era solo. Era socievole, conversatore, conosceva la lingua stridula e spesso incomprensibile dell’esperanto politico, specie in un’Italia che aveva perso ogni libro di grammatica. Non dispensava lezioni, ma si dissipava nella passione sua e comune, scriveva libri, raccontava, interpretava sul filo di ricordi anche generosamente sentimentali.
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