Perché questa volta sfiduciare Bonafede vuol dire far cadere il governo
Renzi nel maggio scorso lo salvò, adesso è libero di rinfacciargli il giustizialismo rivalendosi anche su Conte. Il Pd apre a un compromesso, ma secondo Di Maio la riforma della prescrizione non si tocca: "Non siamo disposti a donare il sangue e gli organi per l'esecutivo"
L'ultima volta in cui si sono trovati in una situazione speculare, uno di fronte all'altro nell'Aula del Senato, Matteo Renzi lo salvò. Ma è un precedente tutt'altro che confortante per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Se nel maggio dello scorso anno il leader di Italia viva decise, insieme al suo gruppo parlamentare, di non sostenere le due distinte mozioni di sfiducia presentate dal centrodestra e da Più Europa, riconobbe però che avevano avuto, queste ultime, il merito di "aver posto dei temi veri". Ché insomma la riforma che sospende la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, la gestione inadeguata delle carceri, le polemiche per le presunte pressioni nella scelta del nuovo capo del Dap, lo spazzacorrotti e tutta la selva di interventi giustificati da una cultura giustizialista comme d'habitude grillina non potevano certo appianare le insormontabili differenze tra i due. E infatti, intervenendo nelle dichiarazioni di voto, l'ex premier fece uno sforzo e si fece avviluppare dal beneficio del dubbio. "Bonafede amministri la giustizia, non il giustizialismo e ci avrà al suo fianco", rimarcò.
Era però parte integrante della maggioranza che sosteneva il BisConte, le due ministre Bellanova e Bonetti e il sottosegretario Scalfarotto erano saldamente nella squadra di governo, e le sortite contro Dj Fofò erano almeno in parte frenate dalla realpolitik, quel senso di realtà che sempre faceva seguire una dichiarazione distensiva alla minaccia dello strappo. Tutto ribaltato dall'apertura della crisi di governo. Del resto non è stato un caso se, quasi fregandosi le mani, a crisi spalancata dalle dimissioni della sua delegazione è stato lo stesso Renzi a dire che la costrizione del doversi sorbire un ministro che non sopporta, che reputa incapace, non fosse più affar suo. Mani definitivamente slegate. E si capisce che in un Senato in cui solo qualche giorno fa la fiducia è arrivata a stento, il voto contrario di Italia viva alla relazione sullo stato della giustizia che Bonafede terrà mercoledì (ma si vorrebbe spostare a giovedì) potrebbe assumere le fattezze di una slavina che tira giù non solo il Mazarese trapiantato a Firenze. Ma pure il prospetto di un eventuale Conte Ter.
Ragion per cui, si è cercato di far trapelare dal Partito democratico, la relazione dovrebbe volare in una direzione ben precisa: contenere dei riferimenti specifici alle sensibilità di Italia viva e dell'area liberal-socialista-popolare che tanto si vorrebbe reclutare alla causa puntellamento, promettere di alleviare alcune degli interventi più indigesti, come quello sulla prescrizione, provvedere a un piano per accorciare i tempi del processo civile e far viaggiare la riforma di pari passo con l'avanzamento dei lavori sul Recovery fund. Un modo per dimostrare di aver raccolto le lamentele incrociate di opposizioni e di parte della maggioranza. A maggior ragione se anche chi come i responsabili che hanno già manifestato il loro supporto al premier Conte non ha alcuna intenzione di turarsi il naso per Bonafede: è quanto faranno ad esempio la senatrice Sandra Lonardo e il king maker dell'operazione costruttori Bruno Tabacci, votandogli contro.
C'è poi un ulteriore complicazione. Perché è vero che il Movimento cinque stelle è passato nel giro di mezza legislatura dal sostegno a Paolo Savona alle interlocuzioni con Mario Draghi, ma sul tema giustizia i grillini marciano piuttosto compatti verso la difesa di un identità posizionale. Intervenendo a Mezz'ora in più Luigi Di Maio (che in serata ha pubblicato sui social una foto con Bonafede con la descrizione "sempre uniti e compatti"), per esempio, ha ricordato che il Movimento non ha nessuna voglia di rivedere riforme che considera un successo come quella sulla prescrizione o sullo spazzacorrotti. "Non faremo da donatori di sangue o di organi al governo", ha detto, che è un po' come innestare la retromarcia rispetto al percorso da negoziato delineato dai dem. Prestando il fianco a chi può cogliere questa occasione per rifarsi delle titubanze del passato, e così pure porre fine alla durata del Conte II. A maggior ragione perché è stato lo stesso ministro degli Esteri a chiarire che quello di mercoledì (o giovedì) non è un voto sul singolo ministro ma sull'intero governo.