E’ il negoziato, bellezza. Alla fine della più importante tra le giornate di consultazioni al Quirinale, l’impressione che si ricava dall’incontro pomeridiano tra Matteo Renzi e Sergio Mattarella è riassumibile grosso modo così. Il leader di Italia viva, che ieri non ha posto veti sui nomi che potrebbero guidare il nuovo esecutivo, ha capito che il presidente della Repubblica potrebbe essere un alleato decisamente importante per provare a portare una dose di discontinuità nel governo che sarà. Ma allo stesso tempo ha capito che il capo dello stato non sarà invece un alleato altrettanto prezioso per provare a portare con rapidità una dose di discontinuità sul nome che potrebbe guidare il prossimo governo. E la ragione per cui Sergio Mattarella, a differenza di Matteo Renzi, non è mosso da un pregiudizio negativo nei confronti di Giuseppe Conte ha a che fare con almeno due dati di realtà. Il primo riguarda la semplice aritmetica, e una volta registrato che il presidente del Consiglio uscente, in vista di un nuovo potenziale governo, ha il sostegno di quattro forze parlamentari (M5s, Pd, Leu, il nuovo gruppo di scappati di casa europeisti) che insieme totalizzano la maggioranza assoluta alla Camera (324) e la maggioranza quasi assoluta al Senato (se si contano anche i due senatori a vita, Monti e Cattaneo, che più partecipano ai lavori parlamentari, l’asticella è a quota 158) sarà difficile per il presidente della Repubblica evitare di fare quello che Matteo Renzi si augura che non capiti: dare cioè un preincarico a Conte (non un incarico esplorativo a Roberto Fico come spera Renzi) offrendo così all’avvocato la possibilità di andare a cercare tra i gruppi parlamentari titubanti i voti che mancano all’appello per raggiungere la maggioranza al Senato, trattando così con Italia viva da una posizione di debolezza relativa (telefonarsi di nuovo, please).
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