Dice a un certo punto: “No, non siamo dispiaciuti. Anzi io la vivo come una liberazione. Sai che significa portare la voce di un altro?”. Non è facile interrogarlo perché è astuto (“ma non è che mi state intervistando?”), non è facile raccontarlo perché bisogna tradurre il suo linguaggio (“amore, ma Renzi è stato bravo. Era finito ed è risorto”), un miscuglio di sincerità e di malizie (“la lista Conte? La politica si misura nel lungo periodo”), di ambizione e di furbizia (“ho subìto molti attacchi anche per ragioni omofobiche”), di sbruffonaggine e cautela (“meglio Draghi di un altro, ha rapporti internazionali. Ma li ha anche Conte”).
Era entrato nello studio di Giuseppe Conte a giugno del 2018, per spiarlo su comando di Luigi Di Maio. Ma alla fine Rocco Casalino era diventato sul serio il gentiluomo di camera del presidente del Consiglio. In pratica, per circa due anni, lui e Conte sono stati l’uno la prosecuzione dell’altro. L’articolazione di un unico personaggio. Due uomini un solo destino. Che da ieri è il trasloco. Lasciano Chigi. E così alle 23.08 di martedì 2 febbraio, poco dopo la doccia fredda, subito dopo che il Quirinale ha pronunciato le sue due parole più scabrose (“Mario” e “Draghi”) ecco che Rocco risponde al telefono. Voce allegra. Pure troppo. “Eccomi!”.
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