I populisti volevano aprire la democrazia rappresentativa come una scatoletta di tonno: non ci sono riusciti e ora fanno la corte al principe dell’antipopulismo, Mario Draghi. Elogio del trasformismo europeo
E’ l’europeismo, bellezza. Lo hanno diffamato, denigrato, offeso, screditato e sputazzato. Lo hanno descritto come se fosse un bivacco ingestibile di buoni a nulla ricolmo di parlamentari imbecilli incapaci di intendere e di volere. Lo hanno raffigurato come se fosse una gigantesca stufetta utile solo a scaldare il sedere degli onorevoli portavoce del popolo. E invece la verità è che da tre anni a questa parte il più disordinato tra i parlamenti mai visti nella storia della Repubblica italiana non perde occasione, periodicamente, per permetterci di non essere troppo pessimisti sul futuro e per dimostrare di essere incredibilmente il contrario di quello che poteva diventare all’indomani del 4 marzo del 2018: non un laboratorio del populismo, ma un laboratorio del compromesso. I populisti, di destra e di sinistra, avevano promesso di utilizzare il consenso ricevuto dal popolo per aprire la democrazia rappresentativa come una scatoletta di tonno ma la verità è che alla fine nei passaggi più importanti di questa legislatura coloro che dovevano usare gli apriscatole sono stati inscatolati nella tonnara delle istituzioni (Ugo Zampetti) e del principio di realtà (Sergio Mattarella).
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