L'altro giorno ha recitato un lungo elenco di ragioni che giustificherebbero il supporto della Lega al governo Draghi, Matteo Salvini. Parlando di sviluppo, lavoro, infrastrutture, taglio delle tasse. E spingendosi, a un certo punto, oltre la soglia di sicurezza della sua stessa ragion d'essere: in particolare quando ha toccato il tasto dell'europeismo, chiarendo che "siamo in Europa, i nostri figli crescono in Europa". Una specie di abiura e transfigurazione, per chi come lui ha costruito, negli ultimi anni, la propria carriera politica e consolidato il consenso con poche, sempiterne ricette: no all'Unione europea delle banche e dei poteri forti. Arrivando a mettere in discussione persino la moneta unica, anche grazie allo stuolo di maitre-a penser (vedi Borghi & Bagnai) che nel tempo sono riusciti a fare delle loro teorie strampalate la linea economica del più antico partito italiano per nascita presente nelle aule parlamentari.
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