Pazzi per Draghi
Viaggio nella mente di un elettore a tu per tu con il caos della politica da talk-show. Dove si alternano simpatie e antipatie, massimo consenso e massimo disprezzo. Ieri erano tanti i populisti, oggi prevalgono gli antipopulisti. Ma alla fine è arrivato un vaccino contro il disordine. Una fenomenologia
Quando Matteo Renzi ha aperto la crisi di governo, ho mandato un messaggio a un amico, del tipo: solo tu mi puoi spiegare questa mossa così assurda. Ora, l’amico in questione ha un ruolo manageriale in una multinazionale, ma in passato è stato in Forza Italia, e all’epoca era noto per la sua capacità di dialogo con gli avversari, insomma era considerato un buon conoscitore dell’universo politico, nonché un gentile diplomatico, e allora l’amico mi ha risposto: è molto chiaro! Conte stava antipatico a parte del Pd e a una minoranza dei Cinque stelle, e Renzi ha fatto da testa d’ariete. Al mio amico, Conte non piaceva, né all’inizio né durante il suo secondo mandato, e a quanto mi ricordo, però, nemmeno Renzi gli andava bene. A questo punto, dato per buona la spiegazione del mio amico, mi sono detto andiamo all’origine e cioè: la suddetta testa d’ariete, per così dire, a me, stava simpatica? Si è subito manifestato un problema su cui vorrei ragionare, perché non so, mi sto convincendo che si tratta di un problema collettivo, non di un deficit personale, anzi qualcosa di strutturale nella democrazia. Il problema è questo: nella mia mente c’era il caos.
Che sentimenti provavo per Renzi? All’inizio, ai tempi della Leopolda e del Big Bang e insomma della rottamazione, in fondo, sì, mi stava simpatico. Un altro mio amico, uno noto per le sue dichiarazioni politiche così nette che poi diventano memi, mentre stavamo in macchina mi disse che secondo lui il discorso di Renzi con il quale ammetteva la sconfitta alle primarie contro Bersani (si era nel dicembre 2012) era molto bello: il discorso di un perdente che aspirava a vincere e avrebbe vinto, perché uno che fa un discorso così bello e coraggioso dopo una sconfitta sicuro prima o poi vince. Mah, pensai (eravamo all’Eur, cercavamo parcheggio, diretti alla fiera della piccola e media editoria), secondo me ti sbagli: volendo rottamare è finito per rottamarsi. Avevo torto, del resto il mio amico passa per un creatore di memi e io no.
Per un po’ di tempo, ho incontrato molti scrittori e intellettuali che appoggiavano Renzi, sia perché condividevano parte del suo programma (la copertura degli asili nido per i bimbi italiani al 40 per cento entro il 2018, diritti civili per le coppie omosessuali sul modello delle civil partnership inglesi, aggiornamento alla normativa europea della legge n. 40 del 2004 sulla fecondazione artificiale, divorzio veloce se consensuale e se i coniugi non hanno avuto figli) sia perché erano stati sul palco della Leopolda a dire la loro, quindi adulati quel tanto che basta per appoggiarlo in pieno (mentre io mi limitavo a una simpatia di fondo perché non era stato invitato a parlare).
Poi, la seconda volta che ci ha provato, come aveva già previsto il mio amico creatore di memi, Renzi ce l’ha fatta. E’ diventato segretario del Pd (si era nel dicembre del 2013 e guarda caso io stavo sempre alla fiera della piccola e media editoria e lì, nel palazzo dei congressi, tra una presentazione e un’altra, c’era consenso attorno a Renzi).
Nell’epoca dei social e dei talk-show il consenso è ballerino. Le vicende speculari di Renzi e Conte. Il fallimento del Vaffa e la Casta che oggi è un po’ rimpianta
Una cosa mi colpì della testa d’ariete. Una sua dichiarazione netta e chiara: non voglio diventare presidente del Consiglio senza battermi e senza un voto popolare alle spalle: in fondo, cos’altro è la democrazia se non espressione del volto popolare? Questo è uno che arriverà in alto, pensai, perché tanti lo sosterranno: così dissi, nella speranza di creare un meme anch’io.
All’epoca c’era il governo Letta. Vero, maggioranza conquistata a fatica, e comunque, mi ricordo che Letta nel mio entourage era giudicato bene. Sì, certo, aveva movenze da democristiano, ma – ammettevamo fra i denti – si governa proprio grazie a quelle movenze, cos’altro è la politica se non realismo? (tra parentesi, negli anni giovanili, durante i quali ho fatto politica, detestavo i democristiani che si muovevano con quelle tipiche movenze, così realiste e spregiudicate, ma vabbè, erano anni giovanili e militavo pure in Dp): comunque la sinistra era al governo.
Dunque, ci rimasi male quando Renzi, con mossa da testa di ariete, fece cadere Letta e senza il sostegno popolare – che poi, insomma, lo scontro elettorale è il sale della democrazia – si autoproclamò presidente del Consiglio. Feci anche una dichiarazione – sì, certo, nella speranza che diventasse meme: dopo quello che ha fatto a Renzi non firmo neanche una cartolina (ma è chiaro che mi stavo vendicando nel mancato invito alla Leopolda).
Poi è andata come è andata, Letta è stato dimenticato, quelli che ne parlavano bene hanno detto: però poi Renzi un po’ di ragione l’aveva, Letta era troppo democristiano. Così, ci sono stati gli 80 euro, la legge sulle unioni civili e anche il referendum. Io, al referendum, ho votato per Renzi ma mi sono reso conto che nessuno dei miei amici lo aveva fatto, il premier in carica era diventato antipatico (l’attaccavano i Cinque stelle, la Lega, e tanti editorialisti), troppe strategie democristiane, confabula con quello e questo, insomma va bene il realismo ma almeno lo devi fare con simpatia. Niente, lui era diventato antipatico: pagava – si diceva – il dazio di fondo, era arrivato al governo per via direttissima non per proclamazione popolare, ma per il sostegno dei soliti intellettuali, quelli che parlarono alla Leopolda e che ora l’avevano pure abbandonato.
Però mantenne la promessa, perse e andò via: ricordo che una troupe televisiva lo inseguì mentre andava a giocare a tennis, chiedendogli: ma è possibile che ora lei sparisca dalla politica? Lui tenne duro: sparì e fece bene, perché con quella manovra, volendo personalizzare il referendum, aveva aperto la strada alla destra – così si diceva.
Poi tornò e si mise in un angolo. Ma chi ci pensava più? C’era appunto il nuovo governo di centrodestra, con questo strano personaggio mai visto prima, Conte. Mi stava simpatico o antipatico Conte? E ai miei amici? Antipatico. Pure ai miei amici. A parte che credeva in padre Pio e per me era una pecca: ho scritto anche un saggio, in tempi non sospetti, contro questo culto, e me la prendevo un po’ con questo frate con le stigmate, tuttavia un monaco, molto simpatico mi disse: vedrai che padre Pio ti punirà, nessuno leggerà il tuo saggio, mentre premierà quelli che credono in lui, e ci sono tanti politici, fai attenzione: e infatti!
A parte questo, ricordo che Conte sembrava eterodiretto. Non da poteri occulti, ma da Casalino, e a me non sta simpatico Casalino: volevo anche scrivere un saggio contro i suoi codici, ma molti conoscenti ben informati sui fatti me l’hanno sconsigliato: guarda, lascia stare, ha più potere di padre Pio.
Poi c’era Salvini, i bruttissimi episodi dei Porti chiusi, quella violenza verbale contro le vittime e c’erano i Cinque stelle, questa classa politica che tutti dicevano, appunto, incompetente. Mi ricordo di un senatore che aveva la soluzione per gli olivi colpiti da Xylella fastidiosa: acqua e sapone. Cioè, davvero! Basta strofinare l’albero e i batteri floematici vanno via.
E quindi, riassumendo, Conte che rappresentava tutto questo mi stava particolarmente antipatico. Mica solo a me, a tutti quelli che incontravo. Bene, quando Salvini – forse un po’ esaltato dall’estate a Milano Marittima – aprì la crisi e chiese i pieni poteri, io mandai un messaggio al mio amico di cui sopra, quello che militava in Forza Italia e gli dissi: solo tu puoi spiegarmi una mossa così assurda. E lui rispose: guarda, molto chiaro! Renzi ha fatto un patto con Salvini! Renzi – chiesi – Renzi Renzi? cioè quello che sta in disparte e non si sente e non si vede? Sì – continuò il mio amico: Renzi ha giurato che non farà un governo con i Cinque stelle, dunque non resterà altro da fare che andare al voto e Salvini stravince e Renzi col tempo diventerà l’unico protagonista in grado di battere Salvini, insomma, si sono presi la scena politica, ricordati che la presenza è potere.
A me la mossa continuava a sembrare assurda, cosa ci ricavava Renzi? Poi, nel frattempo, i Cinque stelle stavano facendo marcia indietro, ora il Pd non era quel mostro che mangiava i bambini a Bibbiano, ma un valido interlocutore. Infatti. Detto fatto, ecco la maggioranza giallorossa, ed ecco che rispunta Renzi che dice: è merito mio: ho spinto io per formare il governo: ah ecco – ho pensato – Renzi ha fatto fesso Salvini. E sapete che c’è? Renzi ha cominciato ad andare bene, recuperava terreno. E quando fondò Italia viva, io che sono un po’ noioso, mandai sempre il messaggio al mio amico e lui ripose: guarda, molto chiaro! Renzi con il suo partito prenderà il 3 o il 4 per cento e farà l’ago della bilancia, la presenza è potere, del resto, come hanno governato gli Spadolini, gli Altissimo, i La Malfa?
Mah… pensai, comunque notavo che Conte non era più eterodiretto da Casalino ma, al contrario, era uno che stava dimostrando di avere i famosi attributi nonché il testosterone (qualità che non dovrebbero diventare memi ma poi invece lo diventano), e vi devo dire la verità? Cominciava a starmi pure simpatico. Può darsi sia l’influsso di padre Pio (cioè sono ateo, ma meridionale, quindi i santi e i beati prima di tutto) ma quelle movenze da democristiano, il modo di parlare e infine la gestione della pandemia, dai non fu così male. E tra i Cinque stelle scoprivo anche cittadini molto competenti e volenterosi.
Per ribadire tutto questo, tutti noi, poi, aggiungevamo preoccupati: e se ci fosse stato Salvini? Vi rendete conto Salvini cosa ha detto in questo periodo? Di tutto e il contrario. Vedrai, invece, che Conte piano piano riuscirà a convincere pure i Cinque stelle sulla necessità del Mes, del Recovery ecc., e poi, all’improvviso – e torniamo al punto di partenza – ho mandato il messaggio al mio amico affinché mi spiegasse perché mai Renzi apriva una crisi sul più bello, cioè proprio quando Conte era diventato l’avvocato degli italiani e pure un po’ il mio, nonostante o forse a causa di padre Pio.
Che sentimenti provavo ora per Conte? Di stima. Riconoscevo che era sfuggito ad alcune logiche politiche detestabili. E Renzi? Pensavo che fosse rimasto il vecchio rottamatore strategico, uno che a un certo punto aveva deciso di fare la guerra a chi ha maggiori attributi e tasso di testosterone. Nel face to face con Conte, un perdente con poche truppe contro un vincente, diventato in breve il più amato dagli italiani. Pensavo questo – e notavo: lo pensavano in tantissimi.
Del resto, mai come in questi giorni ho seguito talk e maratone televisive (pensavo anche di scrivere un saggio contro i talk televisivi, un terribile gioco in cui assegnate le parti arrivano le comparse, ma poi, sempre memore di padre Pio mi sono detto: lascia stare!) e mi sono reso conto che concordavo con tutti. Tutti abbiamo detto il peggio di Renzi e il meglio di Conte. Si sono sprecati commenti e nomignoli.
Ho fatto, allora, un giro di telefonate ad amici che durante la pandemia avevano espresso opinioni favorevoli a Conte e ho notato che alcuni stavano cambiando idea: non ringrazierò mai abbastanza Renzi per averci liberato da questi incompetenti e via con l’elenco: il primo era Casalino, il secondo, fatti i conti, variava tra Arcuri e Azzolina. Altri invece era ancora legati a Conte: se ha convinto me che non votavo… insomma a me ha fatto respirare una boccata d’aria fresca…
Si parlava di notte della Terza Repubblica, si scriveva di fallimento della politica. Poi è spuntato il nome di Draghi, che ha accettato l’incarico, e hai visto mai che in tutto questo caos non venga fuori qualcosa di buono? La democrazia che facilmente si trasforma in demagogia. Ma le oscillazioni della politica sono le stesse delle nostre teste Terza Repubblica fallimento della politica Draghi caos democrazia demagogia nostre teste
Finché è spuntato il nome di Draghi, e allora (di nuovo ho guardato decine di talk e maratone televisive) all’inizio ho sentito commenti tipo: non accetterà mai, voi non lo conoscete, non si fa tirare in basso dalla politica italiana così schizofrenica, poi, anche qui, il clima è cambiato, ognuno cominciava a chiedere delle cose: spero che Draghi si dia da fare con le politiche di genere, che qui da noi sono deficitarie. Un altro rispondeva: le tematiche gender? Ma dai, non mi sembrano prioritarie, siamo in una fogna, vogliamo uscirne sì o no? Altri chiedevano il dito e pure la Luna. E Conte? Conte ha elaborato il lutto e giovedì scorso ha dichiarato: ci sono e ci sarò, dimostrando – secondo alcuni – di essere un gentiluomo. Secondo altri si è assicurato un ruolo da colonnello.
Conclusione: un caos! Così grande che nemmeno puoi farne un meme.
Draghi ha accettato e hai visto mai che in tutto questo caos non venga fuori qualcosa di buono? (siccome ho pensato pure io l’alpha e l’omega, sono sempre più convinto che il problema italiano sia la continua esposizione mediatica dei politici in talk, è chiara la funzione teatrale, da sceneggiata napoletana, parteggi ma non capisci, applaudi il tuo personaggio di riferimento, non certo butti i ponti per capire di che si parla).
Sapete che mi è successo? Di notte ho sognato Napoleone. Non ero io Napoleone (e questo è un altro problema, nemmeno nei sogni sono Napoleone), ma Napoleone mi consolava perché dei cani mi avevano inseguito e morso pur non dando all’inizio segnali di aggressività. Napoleone mi spiegava (eravamo in una grande radura, al ché al risveglio, ho pensato: vuoi vedere che era Waterloo?). Diceva che lui i piani di battaglia non li sapeva fare, cioè cominciava e poi vedeva cosa succedeva al momento (cosa che una volta ha detto davvero). Un sogno assurdo, certo: Napoleone è uno stratega. Ancora studiato nelle università militari, eppure, secondo Lev Tolstoj era proprio così che funzionavano le battaglie: da una parte noiosi generali che pensavano di controllare tutto e impartivano ordini noiosi e assurdi (tranne il suo mito, il generale Kutuzov, uomo pieno di vizi ma profondo conoscitore della guerra: uno che si annoiava e dormicchiava durante la preparazione dei piani di battaglia), ed elaboravano strategie per annientare il nemico mentre il nemico, con i suoi noiosi generali, anche loro convinti di controllare tutto, si dava da fare e impartivano ordini per annullare le strategie degli altri.
Risultato? Caos. Tutti sotto il cielo. Anche Napoleone stava sotto il cielo, anzi era piccolo sotto il cielo. E il cielo immenso governava tutto. Che presunzione quella di noi umani di crederci in possesso del libero arbitrio tanto da governare gli eventi, il cielo non lo assalti mica. Tutto è soggetto al Tempo, è Caos: loro sono gli unici Dei, e chi è più svelto a capire come funziona il caos ha dei vantaggi: è tutta qui la vita, figuratevi la politica.
E siamo arrivati al punto di cui sopra: questi ultimi eventi hanno confermato solo il caos nella mia testa. Credo di rappresentare un caso di studio, come dicevo. Soggetto al caos come sono, non mi ricordo più se Renzi mi è simpatico o no, cosa pensavo di Conte e cosa devo pensare di Draghi.
Devo ricostruire il tutto e nemmeno la base storica mi basta per esprimere un giudizio forte, netto e duraturo, perché il giudizio è labile, oscillante, caotico. Per uscire dal caos, mi accorgo, non basta il ragionamento e la logica, al contrario, proprio perché sballottato da troppe informazioni e suggestioni, vado emotivamente (semplicemente) appresso al cavallo del vincitore, perché in quel momento mi sembra migliore, e dotato di strategia più luminosa. Naturalmente, quel cavallo, in questo momento, risponde meglio ai miei umori e ai miei desideri. Fino al prossimo momento caotico.
I temi più ricorrenti nei giorni scorsi erano quelli che andavano sotto la voce: crisi della politica. Oltre a evocare la notte della Repubblica (Terza), per colpa della strategia di Renzi, si parlava e si scriveva del fallimento della classe politica italiana.
Pensiamoci: è un must.
Da qualche anno si va avanti al grido di ridateci questo e quello, perché una volta era meglio, c’era più competenza e valori e onestà. Mah… un libro come “La Casta” ha sbancato anche perché raccontava i disvalori e privilegi della vecchia classe politica. Un libro come “La Casta” ha rotto la diga e ha permesso al nuovo che avanza di occupare spazio contro la politica. Si è detto che il nuovo, anche se andava avanti a colpi di vaffanculo (chi più chi meno), avrebbe dato dignità a un nuovo ceto che premeva per entrare e innervare di nuovi valori la società.
Non è passato nemmeno un decennio e si grida al fallimento: troppa incompetenza, troppa incoerenza, troppa strategia, mercato delle vacche: ah, quando c’era la Casta! Allora sì che c’era politici con attributi. Poi c’è chi, per non rischiare, va a pescare negli anni 70, Moro, Berlinguer ecc. che insomma, se ti leggi i resoconti dell’epoca, non erano così idolatrati e a parte che quello era un mondo più semplice (in fondo alla metà degli anni 70 c’erano ancora i contadini e gli operai, un terziario non così avanzato e la borghesia che investiva con i soldi nostri, ricordate? profitti privati e perdite pubbliche…), a parte questo, alcune leggi (revisione sistema pensionistico, scala mobile ecc.) le stiamo pagando ancora oggi, ma insomma, tutte queste accuse ai politici falliti, alla Casta, ai partiti nascondono tre cose.
La prima: non vogliamo essere chiamati in correità. Non ci piace ammettere che quei politici, i Salvini, i Conte, i Renzi, sono espressione dei nostri desideri e delle ambizioni, queste ultime non più perimetrate dentro il recinto delle ideologie e dentro le mura del partito. Al contrario, (desideri e ambizioni) sono liberi di scorrazzare in campo aperto, il che è bello e giusto, cambia la società, si evolve il mondo. Cambiano i consumi e i nostri desideri si amplificano, e pure la politica si rinnova. Però è pur vero che senza ideologie e senza partiti rigidi e con un mondo nuovo, più complesso e tanti cittadini che sono troppo prossimi a te (il problema del prossimo è la sua eccessiva prossimità), nel caos come sei, puoi appoggiare Salvini per un nonnulla, perché un immigrato occupa il tuo marciapiede. O Conte perché hai avuto una promozione e ora Renzi perché c’è uno che non sopporti e che credi responsabile dei tuoi fallimenti. Quindi, nella sostanza ora è la notte della Repubblica, e il giorno dopo splende il sole, e chi se lo immaginava (provate a riascoltare i talk).
La seconda cosa è connessa alla prima e c’entra con la politica: credere ancora all’inconscio? Credete ancora in quelle frasi che impunemente dichiariamo sulle piattaforme social e non: sto cercando il vero me stesso? Cioè, credete, ma seriamente dai, che in voi, da qualche parte si nasconda un io autentico, libero e forte, splendente di valori universali che tuttavia è un po’ offuscato e che appunto necessita di spolveratina? Se ci credete è facile poi accusare i politici di aver tradito (il loro sé più autentico) piuttosto che accusare voi stessi di aver tradito la società scegliendo politici che sono esattamente come voi.
Il nostro cervello è la democrazia: e questa è la terza cosa, connessa con la seconda. Non esiste un io autentico che racchiuda valori, il cervello è piatto (non la terra ma il cervello) per dirla con Nick Chater (che ha scritto un bel libro: “La mente è piatta. Illusione della profondità psichica e improvvisazione mentale”, Ponte delle Grazie). La profondità è un’illusione, il nostro cervello è un grande improvvisatore (vede una sola cosa alla volta, si appoggia a schemi di pensiero e pattern neuronali ben rodati che tuttavia spesso vanno in tilt di fronte alla complessità) e non solo crea caos ma cerca di cogliere di volta in volta un principio ordinatore nel caos stesso (cos’altro facciamo la gran parte del giorno se non confabulare con noi stessi e cercare la risposta giusta? E cos’altro è la vita se non dare la risposta giusta al momento sbagliato?).
Questo facciamo, il caso è la nostra battaglia quotidiana. Il generale che meglio degli altri comincia, improvvisa e poi sa ordinare e sfruttare a suo vantaggio quello che sta succedendo è quello che ha più probabilità di vittoria: è questa la nostra sfera di influenza. Se il libero arbitrio c’è, bisogna saperci arrivare, e il percorso, come insegna Platone, è lungo, quasi tragico.
Ammettendo che il cervello è un grande (meraviglioso) improvvisatore, stiamo cercando di spiegare anche il caos di questi giorni, l’improvviso coacervo di ambizioni, desideri, proposte che ruotano in mulinello e stiamo sussurrando che sì, cambiamo spesso idea, uno ci è simpatico e poi antipatico, perché in quel momento ci sentiamo simpatici o antipatici. Ammettere questo è un atto di umiltà che ci introduce nel problema complesso della democrazia. Ma noi che vogliamo? Un sistema ideale? Va bene, il modello è sempre ideale, ma non serve raggiungerlo, quel modello serve a fare i conti per differenza con il reale caotico (allo stesso modo il compito del saggio, infatti, non è dichiarare con spirito naif che ogni momento è quello buono, ma farci notare l’amarezza che la scoperta della realtà comporta: così dovrebbe essere la democrazia, un confronto con la nostra amarezza).
Che la democrazia sia governo di popolo? Se sì, perché allora ci lamentiamo quando il popolo sceglie male? Il popolo altro non è che un insieme di cervelli piatti, che improvvisano e spesso scelgono per sentito dire (davvero pensiamo di scegliere dopo attenta analisi? Dai…): non c’è un popolo che racchiuda dei valori migliori a prescindere. Ci sono situazioni ambientali e culturali (frutto di casualità o di opportunità ben sfruttate) che ci rendono più adatti e magari, si spera, più pacifici, e logici, e attenti agli altri. Ma ci sono altre situazioni nelle quali dei buoni retori, capaci di micidiali semplificazioni e creare, insomma, memi altrettanto micidiali, conquistano la nostra attenzione con slogan ad effetto (facile accontentare il nostro cervello piatto).
Quindi la democrazia facilmente si trasforma in demagogia. Succede quando ci chiediamo, ma come siamo arrivati fin qui, o meglio come mi hanno convinto ad arrivare fin qui? Chi ha abusato della mia fiducia, chi, e con quali frasi retoriche si è impadronito della mia volontà? Non era meglio uno di poche parole ma più competente?
E’ un problema così antico che ne abbiamo perso la memoria: alcuni vogliano una classe dirigente di rango, appunto, capace e competente, ma allora non vogliono la democrazia, vogliono un’oligarchia (tra l’altro i filosofi che la proposero non si ritenevano oligarchi, quello era l’appellativo dato dai loro avversari). Pochi ma buoni, che sappiano cosa fare, competenti. Ma se ne sanno di più e sono intuitivi come i bravi generali allora sono un’élite, e non a tutti stanno simpatici questi meritevoli.
Ma se il nostro cervello detesta la chiamata in correità e le conseguenti responsabilità, se poi il nostro cervello preferisce improvvisare, se la democrazia siamo noi (e noi siamo così) che possiamo fare per pensare e scegliere al meglio di noi stessi? Come possiamo sconfiggere le fallacie, i nostri egoismi, riconoscere gli errori e aumentare l’altruismo?
Riconoscere il caos che gira nelle nostre teste è pratica buona e giusta, non siamo così speciali da meritarci trattamenti speciali, siamo arroganti e affrettati nei nostri giudizi, dovremmo far meglio. Prima di tutto riconoscere che siamo uguali negli smottamenti quotidiani, molto fragili e che dunque, alla fine, la vita ( e la politica che dovrebbe preservare la nostra vita con buone deliberazioni) è una questione di oscillazione: una volta facciamo entrare nel sistema e giustamente gli uomini nuovi, anche se con scarse competenze, un’altra volta siamo più elitari. Una volta ci opponiamo alle strategie perché sono oscure e noi ci sentiamo luminosi e qualche volta diciamo: ma sai che c’è? una botta strategica a questo la darei.
Ora il pendolo va verso un uomo che una volta, il 26 luglio del 2012, durante un forum di investitori a Londra, nel mezzo della profonda crisi economica che aveva colpito l’Europa, intuendo il processo speculativo contro i debiti sovrani che minacciavano di provocare default a catena tra i paesi più deboli dell’area euro e di rompere l’unione monetaria, se ne uscì con l’ormai leggendaria e concisa affermazione: ”All’interno del nostro mandato, la Bce è pronta a fare tutto quel che è necessario per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Insomma, non mettetevi contro il banco perché perdete. E credo sia tornato il momento del Preside o del Generale: quello che mette un po’ d’ordine nel caos, perché abituato a vedere le cose mentre accadono e scegliere il meglio.
E’ un uomo molto autorevole, credo lo seguiranno, per il momento, in molti (anche Borghi, in quanto economista e nonostante euroscettico, ha detto: parliamo la stessa lingua). Si prevedono iscrizioni a raffica, dunque il problema sarà: Draghi è la persona migliore sulla piazza europea? Sì, senza dubbio. Non è che ora, nella foga di arruolarsi, creiamo altro caos che poi renderà difficile conciliare i cervelli di tutti e magari all’inizio applaudiremo Draghi e verso la fine diremo: ma non c’è una testa d’ariete con una strategia oscura?
Certo, se riuscissimo a fare chiarezza nelle nostre menti per un tempo più lungo di una singola battaglia, forse potremmo imparare a gestire meglio le oscillazioni del pendolo, ma chissà impegnarsi costa.
Ps. Ci sarebbe un altro modo, l’anarchia, che è riconoscimento del caos e costruzione dal basso e dunque esercitazioni quotidiane per imparare a gestire cose complesse con l’aiuto dell’altro, senza vertice di comando gerarchico, ma l’anarchia come cantava Léo Ferré esige anche una buona dose di solitudine e nuovi manufatti bioculturali sui quali lavorare e non siamo ancora preparati. Io poi, sono così eccitato da questa nuova situazione, con Mario Draghi al comando, che ora mando messaggio al mio amico per chiedergli se davvero era tutto preparato oppure ci è andata di culo. Poi se volete vi faccio sapere la risposta.